29 novembre 2006

Tutti i buchi nella manovra dell’Unione


Per far digerire agli italiani la stangata fiscale, il governo Prodi continua a parlare di questa Finanziaria come della terapia d'urto indispensabile a riassestare i conti pubblici. In realtà, dalla manovra continuano a venire fuori punti interrogativi proprio sui numeri del bilancio. I dubbi non sono i soliti - «parziali» - dell'opposizione, ma portano la firma del servizio bilancio del Senato, organo tecnico cui spetta una valutazione accurata e obiettiva degli effetti del disegno di legge finanziaria sull'erario. Ecco un elenco sommario dei principali punti oscuri individuati dai tecnici di Palazzo Madama.

Spesa sanitaria
Il governo ha messo in campo oltre 3 miliardi per prevenire gli sforamenti da parte delle Regioni, ma nella finanziaria non vengono specificate le misure strutturali che dovrebbero consentira il raggiungimento di questo obiettivo. Il rischio è che questa ulteriore spesa possa servire a scopo clientelare. Intanto sulla sanità graverà il regalo dell'Unione ai sindacati sul pubblico impiego. Il rinnovo del contratto di questa categoria è infatti superiore, rispetto all'inflazione programmata del biennio, di ben un miliardo e 171 milioni di lire, 512 dei quali saranno spesi per i dipendenti del comparto sanitario nazionale.

Assegni familiari
Non sono infatti chiari i meccanismi che consentirebbero il risparmio di spesa pari a circa 470 milioni di euro, che rappresenta la differenza tra la stima originaria contenuta nel testo approvato dal Cdm (1.400 mln euro) e quella attuale prevista dalla manovra uscita dalla Camera (930 mln).

Irpef
La modifica alla tassa di scopo per i Comuni per finanziare opere pubbliche rischia di produrre costi aggiuntivi a causa del rimborso dell'imposta ai contribuenti per il mancato inizio dell'opera. Incertezza anche sulle detrazioni Irpef del 55% per le spese sostenute per la riqualificazione energetica degli edifici. Secondo gli esperti c'è il rischio concreto che un aumento di queste spese, favorito dal beneficio fiscale, possa causare una diminuzione del gettito superiore a quanto previsto. Il pericolo non è da poco. E si aggiunge all'insieme di timori che stanno portando i Comuni a rinviare l'approvazione del proprio bilancio nei termini previsti, entrando in esercizio provvisorio. È quello che ha appena deciso per esempio Sergio Cofferati, rompendo una tradizione che da venti anni vedeva il comune di Bologna approvare i bilanci con largo anticipo. Ma del resto, al di là di ogni intento politico, come può un sindaco pianificare il proprio budget se a monte non vengono definite le spese che dovrà sostenere?

Cuneo
Ovviamente i calcoli restano in sospeso anche per il taglio del cuneo fiscale. Innanzitutto perchè non esiste allo stato attuale alcuna ipotesi in merito all' utilizzo delle deduzioni vigenti e quindi del benefit per l'economia in termini di competitività. Lo sconto - l'unico - sugli oneri contributivi alle imprese rischia insomma di non innescare quegli investimenti in innovazione sperati perché non c'è nessun vincolo corrispondente per le aziende. Ma quel che è peggio è che il testo della manovra non indica il numero di lavoratori dipendenti sulla cui base è stato quantificato il minor gettito Irap. Un altro numero col segno meno ancora da definire.

Tfr
Sull'erario infine graverà una nuova tegola appesa al placet dell'Eurostat sulla misura che prevede il trasferimento del Tfr all'Inps. La stessa relazione tecnica del governo, pur riconoscendo la necessità del parere favorevole delle autorità europee, non stabilisce infatti esplicitamente la riduzione delle spese connesse al Tfr. Inoltre non va dimenticato che l'effetto del trasferimento potrà comunque essere calcolato con precisione soltanto quando saranno definitive le scelte dei lavoratori sulla destinazione del proprio trattamento di fine rapporto. Il quantum potrà quindi essere valutato solo a consuntivo. E intanto? Intanto tutti gli interventi legati ai cinque miliardi che l'esecutivo spera di raccogliere con questo strumento - di finanza creativa o distruttiva? - saranno comunque finanziati. Ma è mai possibile che il ministro Padoa Schioppa, sempre così ansioso di curare il deficit, non si preoccupi di risolvere queste incognite? Verrebbe proprio da dire, con Totò: «Ragioniè, voi dovete ragionà!».

09 novembre 2006

Midterm: la sconfitta certa è quella dei teocon


Dopo il report della Cia sull'aumento del terrorismo a seguito della missione irakena arrivano le elezioni di midterm a condannare finalmente la politica messianica dei teocon. C'è ancora qualcuno a destra diposto a gettare la croce di antiamericano su chi da tempo nutriva dubbi sulla religionpolitica di Bush? Il fanatismo di una religione può essere battuto solo dal pragmatismo della ragione. A mandare Rumsfled a casa prima che la Pelosi è stata l'ala realista dei repubblicani che non ci sta a perdere le presidenziali. Era ora che ci riuscissero!

30 ottobre 2006

Un Mastellum per servire le toghe rosse

La Camera ha approvato la settimana scorsa in via definitiva il ddl Mastella, che blocca la riforma liberale della giustizia varata dal centrodestra, destinata ad entrare in vigore questo mese. Il provvedimento annacqua infatti le misure relative agli illeciti disciplinari e alla gerarchizzazione delle procure, ma soprattutto congela - fino al 31 luglio 2007 - il punto nevralgico della riforma Castelli: la separazione della funzione requirente da quella giudicante. A nulla sono valsi, su questo punto, i tentativi dell'opposizione di emendare il testo del governo. Vane anche le perplessità manifestate dai deputati della Rosa nel Pugno - da sempre sostenitrice della separazione delle carriere - che, pur tra mille mugugni, hanno finito per inchinarsi agli oneri di coalizione, dimostrando una volta di più di essere soltanto una «espressione geografica» all'interno della maggioranza.

Oltre alla distinzione delle funzioni, la nuova normativa congela anche le modifiche ai criteri di progressione delle carriere e ai concorsi per l'accesso alla magistratura. La precaria tenuta di Prodi al Senato ha permesso alla CdL di strappare solo un parziale mantenimento delle altre novità introdotte dalla Castelli. Rispetto alla riforma del centrodestra, è stato infatti escluso il coinvolgimento del Guardasigilli nel procedimento disciplinare, sul quale resterà competente la sola Cassazione, e sono state ristrette ed attenuate le ipotesi di illecito. Per quanto concerne l'assetto interno alle procure, viene invece abrogata la responsabilità esclusiva del procuratore capo e l'inserimento del provvedimento di revoca nel fascicolo personale del sostituto.

L'ansia della maggioranza di disinnescare le novità approvate nella precedente legislatura ha già provocato intanto due inconvenienti tecnici. Anche se per pochi giorni, infatti (prima che trascorra la vacatio legis per il Mastellum), entrerà in vigore l'obbligo per i magistrati di optare per la funzione di pm o di giudice. Le toghe, come forma di protesta, hanno intasato il Csm con numerosissime domande on line di assegnazione dell'incarico. Danno ben più grave invece è stato commesso sul processo disciplinare, dove il mancato riferimento al codice di procedura civile ha l'effetto di applicare le regole del processo penale al giudizio davanti alle sezioni unite civili della Cassazione.

Così, mentre le procure si trovano a fronteggiare l'ulteriore emergenza creata dal decreto Bersani col blocco dei pagamenti delle consulenze, l'Unione partorisce un altro papocchio che aggiunge confusione al caos che già assilla il sistema giustizia. Lo stesso titolo del provvedimento è di per sé estremamente eloquente: «Sospensione dell'efficacia delle disposizioni dell'ordinamento giudiziario». Il Mastellum, cioè, non rimpiazza la riforma del centrodestra con una legittima controriforma, ma maldestramente rinvia qualsiasi tipo di rinnovamento della macchina della giustizia, ferma alla disciplina del 1941.

Il rinvio cela in realtà le opposte sollecitazioni che agitano la maggioranza anche sul fronte giustizia. Da un lato le pressioni di Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia, le due correnti di sinistra della magistratura che da sempre invocano la cancellazione in toto della riforma Castelli. Dall'altro le tendenze più garantiste che attraversano la Margherita e la corrente riformista dei Ds, i dalemiani per intenderci. La stessa attribuzione del dicastero di Via Arenula al «moderato» leader dell'Udeur e il lungo scontro interno che ha sbarrato l'accesso di Luciano Violante al Csm, hanno indicato, fin dalla nascita del governo Prodi, l'intenzione di porre un freno alle intemperanze giustizialiste e conservatrici della sinistra togata.

Il Mastellum varato lunedì scorso è, in questo scenario, il figlio naturale di un esecutivo la cui unica preoccupazione è quella di non scontentare nessuno, di non mettere a rischio gli equilibri delicati della coalizione, di non decidere e quindi di preservare lo status quo. Pur con tutti i difetti propri di ogni legge, la riforma Castelli tentava di scrostare le ataviche anomalie delle nostre procure, riaffermando il principio costituzionale della terzietà del giudice e limitando l'eccessiva arbitrarietà dei pm nell'esercizio dell'azione penale. Non era forse la migliore riforma possibile, ma era certamente un primo passo che cercava peraltro un compromesso tra le opposte istanze di avvocati e magistrati. La stessa separazione delle funzioni, requirente e giudicante, tendeva a sintetizzare le richieste dell'Unione Camere Penali - favorevole alla separazione delle carriere - e quelle dell'Associazione Nazionale dei Magistrati, aperta all'ipotesi d'incompatibilità territoriale.

Il governo Prodi ha invece scelto ancora una volta di non scegliere, di lasciare tutto com'è, sposando così la grottesca teoria Borrelli per la quale la separazione delle funzioni esisterebbe già nel nostro ordinamento dal momento che i pm non scrivono le sentenze dei giudici. L'Unione ha scelto di evitare il percorso di una vera sinistra riformista, aperta ad una visione liberale della giustizia, che pone le garanzie individuali sullo stesso piano di quelle collettive. Mastella promette di rimettere presto mano alla separazione delle carriere ma Magistratura Democratica, già insoddisfatta per la cancellazione completa della Castelli, è pronta ad alzare le barricate su ogni ulteriore cedimento verso il garantismo.

13 ottobre 2006

Per Confindustria non è questione solo di Tfr


“La manovra finanziaria è debole e insoddisfacente, priva dei preannunciati interventi strutturali sui grandi capitoli di spesa pubblica”. Non è l’ennesima critica proveniente dalle file dell’opposizione ma il giudizio durissimo espresso dal vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, sul testo presentato dal governo nell’audizione di mercoledì davanti alla commissione Bilancio della Camera. Non è dunque solo il trasferimento del Tfr, come vorrebbe far credere il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, a sollevare le critiche di Confindustria alla finanziaria presentata dal governo. A preoccupare è l’intento complessivo della manovra troppo sbilanciato, secondo Viale dell’Astronomia, sull’obiettivo “redistribuzione” a danno dell’obiettivo “crescita” che semmai finisce per essere sfavorito da un aumento del carico fiscale. Nell’intervento in commissione Bilancio Bombassei ha infatti sottolineato l’importanza di ridistribuire le opportunità e non solo il potere d’acquisto investendo su scuola, università e formazione. Pur apprezzando lo sforzo sul cuneo fiscale la grande industria considera la manovra incapace di affrontare il problema del contenimento della spesa. In particolare Bombassei ha lamentato la mancanza di riforme strutturali sulla spesa sanitaria destinata a crescere rispetto allo scorso anno da 91 a 103 miliardi di euro con un incremento di ben il 13%! Un aggravio notevole per l’erario che potrà essere coperto solo con l’aumento delle addizionali puntualmente sbloccate dal governo. Ed è proprio questo punto ad irritare gli industriali. La copertura integrale della spesa sanitaria infatti potrà consentire anche lo sblocco dell’addizionale Irap, oltre l’uno per cento attualmente previsto, scaricando così sulle imprese la gestione poco oculata della sanità da parte degli amministratori locali.
Rebus sic stantibus risulta evidente come la rottura dell’idillio tra Unione e vertici degli industriali vada ben oltre l’intervento del Tfr. I numeri della manovra sono chiarissimi nell’indicare l’impronta dirigista del governo che in questo modo non aiuterà certo ad accelerare la pur timida ripresa del Paese.
A Montezemolo ora non resta che spiegare alla sua base come fosse possibile attendersi da una coalizione con una componente massimalista così consistente una politica economica differente. Su 35 miliardi di manovra meno di 15 serviranno a correggere il disavanzo e ben 20 serviranno invece a soddisfare le aspirazioni di “giustizia sociale” del centrosinistra. Aspirazioni destinate peraltro a non portare alcun concreto risultato. Quale giustizia sociale infatti garantisce una manovra che abbassa la soglia dell’aliquota massima a 75 mila euro di reddito lasciandola invariata per i redditi oltre i 100 mila? Quale giustizia sociale realizza una manovra che introduce il ticket per il pronto soccorso e sblocca le addizionali comunali, aumentando di fatto imposte che colpiscono senza distinzione di censo? Quale giustizia sociale rende possibile una manovra che dimentica i lavoratori precari per i quali in campagna elettorale si erano sprecati fiumi di promesse? La coperta è corta si continua a ripetere. Verissimo. Sbagliare in certe situazioni è terribilmente facile. Proprio per questo però un governo saggio dovrebbe mettere da parte gli intenti moralistici di vana redistribuzione evitando di mettere la mani nelle tasche dei cittadini.