23 settembre 2005

L’economia liberale di Tremonti

Non credo sia esatto dire, come scrive oggi Henry, che con la scelta di Tremonti il governo si allontana da un economia liberale. Innanzitutto bisognerebbe capire cosa s’intende per economia liberale. La storia economica dimostra che ormai certe categorie sono obsolete, insufficienti a riassumere un approccio unico e inequivocabile. Gli Usa, che vengono giustamente considerati leader nella promozione del libero mercato, non hanno lesinato misure protezionistiche ai danni dell’Ue (il cosiddetto zeroing su cui peraltro Bruxelles ha aperto un’inchiesta) sui mercati dell’acciaio, della chimica e degli alimentari. Attualmente le stesse misure sono attuate in parte nei confronti della Cina senza che questo sollevi alcuno scandalo. Questo significa che gli Usa non hanno un’economia liberale? Non credo al massimo si può convenire sul fatto che il liberismo puro e non il liberalismo politico non sia più così attuale(. Piuttosto uno stato liberale è pronto a considerare le diverse opzioni percorribili di fronte ai differenti scenari economici che possono aprirsi. La crescita straordinaria di Cina ed India nel nostro caso richiede interventi straordinari di difesa legittima della nostra economia non per avere un profitto sempre maggiore ma per salvaguardare la nostra stabilità interna in un momento di trasformazione dell’economia globale. Se poi vogliamo dirla tutta perché l’Italia dovrebbe attenersi a queste regole del libero mercato e la Cina non dovrebbe fare altrettanto sul rispetto dei diritti umani? Come dissi in un interessante dibattito aperto sul IlCastello francamente non credo che misure mercantilistiche possano risolvere i nostri problemi economici fosse solo perché la forza dei cinesi è il loro mercato interno, arma diabolica in un contesto scarsamente democratico come il loro. Resta il fatto che in un momento in cui il nostro Paese rappresenta il competitor più debole perché dotato di una struttura imprenditoriale basata su manufatti di livello tecnologico medio basso, dal tessile agli elettrodomestici proteggerci è doveroso per chi governa considerare tutti i possibili interventi.

3 commenti:

Massimo ha detto...

Con Tremonti ci allontaneremmo da una politica liberista ?
Mah, non credo, anzi credo che saremo più in linea con Tremonti che con uno come Siniscalco che rispondeva a logiche estranee alla dialettica democratica, non essendo eletto e non rispondendo agli elettori.

Sulla Cina Tremonti può essere una garanzia in più, anche se condivido il fatto che siamo noi ad avere una classe imprenditoriale scadente, che addirittura si è messa nelle mani non di uno di loro, ma di un manager che, come giustamente disse Ricucci, le ricchezze le consuma e non le crea.

Tornando alla Cina, personalmente ho fiducia nell'implosione del fenomeno, non appena la borghesia che si è arricchita vorrà anche il potere politico ...

Anonimo ha detto...

Posso anche essere d'accordo che non è necessariamente vero che linee di politica economica che vadano nella direzione di un maggiore protezionismo siano indice di una scarsa liberalità, tuttavia proteggerci con barriere tariffarie o non tariffarie a mio modesto parere è la strada peggiore da percorrere.
Quello che non si vuole capire è che se si cerca di fare concorrenza alla Cina, tanto vale mettersi una pietra al collo e buttarsi a mare: noi dobbiamo fare tutt'altro. La via, che possa produrre anche uno sviluppo dei diritti umani in Cina, è quella di una maggiore collaborazione: Paesi che fanno affari non si fanno mai la guerra.
Interventi legittimi di difesa della nostra economia devo andare in una direzione diversa da quella del protezionismo, la necessità prima è quella di svecchiare la cultura imprenditoriale nazionale e un simile risultato è difficilmente ottenibile proteggendoci. Ti faccio un esempio: uno dei maggiori produttori mondiali di denim produce tutto (entra il fiocco di cotone ed esce il tessuto) a Robecchetto sul Naviglio, la sua forza sta nella continua capacità di innovare e di essere impresa proattiva: se il suo settore fosse stato protetto difficilmente questa impresa sarebbe stata incentivata a trovare strade di crescita che l'hanno resa uno dei leader mondiali.
Non è tanto il fatto che una misura possa essere o meno scandalosa nel breve, quanto piuttosto se la stessa è capace di produrre risultati apprezzabili nel lungo periodo. Innalzare dazi proibitivi è mettere una toppa per non voler vedere il buco: ma a parte in casi rarissimi, la toppa è peggio del buco.

Federico ha detto...

a Monsoreau: pienamente d'accordo anche sull'implosione come del resto commentai su IlCastello

a Blindfury: anche io sono convintissimo che la strada per uscire dal problema cinese è svecchiare la nostra economia.Non mi sento però di demonizzare qualche misura anti dumping che nell'immediato può aiutarci ad arginare il boom dell'estremo oriente. Che la qualità sia stimolata dalla concorrenza mi sembra una verità ormai assodata ma non mi sembra di aver parlato di autarchia.