28 marzo 2006

L'Unità invoca la conversione del popolo del Caimano

Si preannuncia un lavoro più lungo e profondo della semplice vittoria elettorale. Sembrerebbe la  chiusura minacciosa di un thriller di fantapolitica di Federick Forsyth, è invece la conclusione dell’editoriale del direttore dell’Unità Antonio Padellaro, apparso sabato scorso sul quotidiano dei Ds. Dopo aver conquistato il potere con le politiche di aprile, secondo Padellaro, il centrosinistra dovrà infatti pianificare una strategia per addomesticare i bollenti spiriti di questa minoranza di massa, combattiva, entusiasta che si sente consustanziale con il fondatore del partito e quasi unita a lui in una sorta di corpo mistico.

Se non fosse disgustosamente serio l’articolo di Padellaro risulterebbe davvero divertente, un classico esempio di cultura veteromarxista della conversione dei kulaki, come molti purtroppo se ne sono visti nella storia del comunismo. Ed invece a scrivere queste enormità, senza suscitare peraltro alcuno scalpore, è il direttore del quotidiano del partito che, dopo il 10 aprile potrebbe essere la prima forza di governo, ed allora c’è ben poco da stare allegri. Mentre gli elettori ancora incerti si sforzano di comprendere i programmi delle due coalizioni, cercando di carpire la criptica politica fiscale dell’Unione, c’è quindi chi già prepara piani per disfarsi di questa fastidiosa minoranza di massa, otto milioni di persone, pronte... a riempire di corsa interi teatri per osannare il leader e invocare malefici contro l’odiato nemico Prodi.

Il richiamo di qualche giorno fa del presidente della Repubblica a favore di un clima più sereno nella campagna elettorale ha scatenato la solita corsa ad additare gli avversari come i veri destinatari del messaggio del Capo dello Stato. Ma non si capisce come si potrebbero rasserenare gli animi quando si arriva a considerare gli elettori dell’avversario, un parte di popolazione da rieducare. Non la solita destra qualunquista e senza identità – precisa con stucchevole presunzione Padellaro –   ma donne e uomini di ogni classe, ceto, mestiere e professione intimamente convinti che il capo dica il vero quando sostiene che il centrosinistra cova una irrimediabile vocazione illiberale e stalinista.

Sfugge evidentemente al direttore dell’Unità quanto il suo stesso editoriale costituisca il sostegno più concreto alla paure paventate dal premier. Se qualcuno come il sottoscritto nutriva non pochi dubbi sull’utilità di ricorrere ancora allo spauracchio del comunismo la lettura dell’editoriale di Padellaro ha fugato ogni incertezza. La sua idea ripropone quella presunta superiorità morale in nome della quale l’intellighenzia di sinistra pretenderebbe ancora di dominare la cultura del nostro Paese, chiudendo ogni spazio ad un pensiero diverso dal proprio. Il direttore dell’Unità che si siede in cattedra e pianifica la conversione degli infedeli riafferma la cultura religiosa insita nel pensiero politico della sinistra, per cui la società si divide in bene e male, in buoni, sotto le fronde ovviamente della Quercia, e in cattivi che seguono la via tracciata dal Caimano. Ecco quindi che la rabbia della sinistra non può limitarsi alla demonizzazione di Silvio Berlusconi ma va estesa necessariamente al suo popolo che, dopo la conquista di Palazzo Chigi, dovrà essere spinto a redimersi da questa perversa propensione politica. Eppure questo stesso appello è anche il riconoscimento più manifesto della debolezza di una sinistra post-comunista come quella italiana che rifiutando il dialogo si dimostra ancora incapace di rappresentare tutti gli italiani che in quelle radici non si riconoscono.

Un’ammissione involontaria quella di Padellaro, un autogol che compatta i sostenitori del centrodestra e può risvegliare l’orgoglio delle proprie radici nei tanti elettori dormienti  tendenti a disertare le urne ma non certo disposti ad assistere indifferenti alla tracotanza dell’Unione.
Quando Antonio Padellaro preoccupato preannuncia ai leader dell’Unione un lavoro più lungo e profondo perché il caimano sopravvive finché dietro di sé ha un popolo, chiama infatti inconsapevolmente ognuno di noi a difendere la propria identità liberale. Tutti, fino all’ultimo appartenente al fiero popolo del Caimano!

Pubblicato su Ragionpolitica del 28 marzo 2006

2 commenti:

Abr ha detto...

Grande post, smaschera il perchè di tanta tronfia prosopopea: son proprio convinti! Mi sbaglierò, ma questa situazione mi ricorda troppo i tempi della "gioiosa macchian da guerra" ...
ciao, Abr

Massimo ha detto...

Padellaro ha nostalgia della "rivoluzione culturale" cinese e delle guardie rosse, adesso rappresentate da centri sociali e no global ... in fondo lo spessore intellettuale e culturale è il medesimo ... :-)