Il segnale più importante che arriva dal voto tedesco non riguarda il sistema elettorale ma la sempre minore attendibilità dei sondaggi politici. Negli ultimi anni le previsioni sulle elezioni politiche in diversi paesi hanno infilato una serie impressionante di flop che induce quasi a pensare ad un effetto boomerang di certe analisi pre-elettorali. Ovunque sì è andati incontro ad esiti inattesi e a volte le previsioni precedenti di un anno la chiamata alle urne sono state completamente capovolte come negli USA o in Germania. Ma casi simili si erano già verificati in Spagna, con la vittoria a sorpresa di Zapatero, e in Francia con Le Pen al ballottaggio e l’imprevista bocciatura della costituzione europea al referendum. Anche in una realtà così lontana come quella giapponese i malaugurati sondaggi hanno finito per portar bene al primo ministro Koizumi che aveva scelto la via voto per ottenere il sostegno popolare alle sue spinte riformiste. Il moltiplicarsi dei casi impone un’analisi che cerchi di spiegare l’inaffidabilità dei sondaggi. Sembra un paradosso più si va avanti, più il progresso scientifico risulta inefficiente a sondare come ragioniamo di fronte alle scelte politiche. Certamente dietro il ripetersi di certe defaiance delle indagini pre-elettorali in contesti così diversi c’è l’incertezza diffusa della popolazione di un Occidente che si sente sempre più inerme di fronte alle sfide del presente. La globalizzazione sta rendendo il pianeta sempre più piccolo, le interazioni tra un paese e l’altro sono sempre più frequenti e i grandi temi di politica internazionali spostano di continuo il consenso da una parte all’altra. Accanto al terrorismo di matrice islamica molti altri nodi contribuiscono ad influenzare la politica interna dei nostri paesi il tasso impressionante di crescita di Cina ed India, i processi di aggregazione internazionali tra i diversi stati, l’equilibrio ambientale mondiale, la povertà nel terzo mondo. Sempre più queste problematiche sono in grado d’influenzare l’elettorato spingendo in particolare le sempre larghe fasce di astensionisti a prendere posizione. La molla in genere è la paura ora di difendere la propria nazione (guerra preventiva), ora la sovranità nazionale (no a costituzione europea), ora la propria economia (sì a politiche protezionistiche). Anche in Italia le vicende internazionali ed europee in particolare avranno un peso determinante nella tornata elettorale della prossima primavera e probabilmente buona parte della partita per Palazzo Chigi i candidati premier se la giocheranno su politiche europee (euro, costituzione e allargamento) e rapporto con gli Usa. Credo come molti che l’esito di queste elezioni, così importanti per il destino del nostro Paese, non sia ancora stato deciso, sbaglia chi nel Polo continua a recitare il de profundis del saccente rassegnato. La Cdl ha ottime carte ancora da giocare ma, per farlo fino in fondo, deve mettere in soffitta le cassandre di turno e puntare tutto su una comunicazione convinta dei buoni risultati raggiunti, della tenuta sostanziale della nazione in un epoca di stravolgimenti internazionali, della spinta che nonostante tutto il governo ha saputo dare con l’apertura di cantieri, le sovvenzioni per l’innovazione, la riforma del mercato del lavoro. Se Follini vuol continuare a piangere si accomodi fuori, non può convincere gli altri chi non è convinto del lavoro che ha svolto e sostenuto per sei anni.
19 settembre 2005
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