08 aprile 2006

Il doppiopesismo della sinistra sui brogli elettorali

I timori manifestati ieri da Silvio Berlusconi, in merito al rischio brogli nella prossima tornata elettorale, sono stati puntualmente derisi dal centrosinistra come l’ennesima riprova dell’inaffidabilità del presidente del Consiglio. Romano Prodi li ha esclusi spiegando che il governo controllerebbe ogni cosa e quindi non ha nulla da temere. Piero Fassino dal canto suo ha sentenziato che in un paese democratico come l’Italia i brogli “non ci sono mai stati”. Ma il problema può essere veramente liquidato in maniera così semplice?
I meccanismi di voto in realtà vengono garantiti proprio da un largo coinvolgimento popolare sulle operazioni di spoglio che sono pertanto coordinate e non controllate dal governo come ha invece affermato Prodi che ha evidentemente come modello democratico di riferimento la Bielorussia. Chiarito questo, che la sinistra vanti un esercito di militanti su tutto il territorio che il Polo non ha, resta una verità incontrovertibile. Chiunque abbia preso parte almeno una volta alla operazioni di spoglio ricorderà senza dubbio la saccenza e l’invadenza con cui i rappresentanti di lista della sinistra assediano gli scrutatori pronti a chiosare ogni più semplice decisione pur di portare acqua al proprio mulino. Ciò che ha detto Silvio Berlusconi ancora una volta è quindi la classica verità sotto gli occhi di tutti che però nessuno osa ammettere. Il rischio brogli del resto, come insegna la campagna Bush ws Gore, è in genere tanto più grande quanto più lo scarto tra le due coalizioni si preannuncia esiguo. Ma c’è di più. Al segretario della Quercia, che trova scandaloso parlare di brogli in Italia, bisognerebbe chiedere come mai dall’opposizione negli ultimi mesi sono piovute sull’esecutivo una serie di sospetti sulle possibili manomissioni del voto favorite dal ricorso allo scrutinio elettronico? L’accusa è reiterata anche sull’Espresso di questa settimana da Beppe Grillo l’ultimo vate reclutato dall’intellighenzia di sinistra. Eppure il ministro per l’Innovazione, Lucio Stanca, ha più volte ricordato come il ruolo dell’informatica nelle prossime elezioni sarà semplicemente sperimentale e come nel caso di discordanza con lo scrutinio cartaceo, quest’ultimo conteggio prevarrà senza dubbio su quello elettronico. In effetti basterebbe dare un’occhiata al decreto del 3 gennaio 2006 che disciplina appunto la sperimentazione informatica per le elezioni politiche. In un unico semplice articolo il provvedimento precisa esplicitamente che “a conclusione delle operazioni di spoglio delle schede, il presidente dell'ufficio elettorale di sezione attesta la conformità degli esiti della rilevazione informatizzata dello scrutinio rispetto a quelli risultanti dall'annotazione sulle tabelle di scrutinio cartacee. In caso di discordanza tra i risultati, il presidente, senza procedere ad ulteriori verifiche, provvede agli adempimenti previsti dalla legge, tenendo conto dei risultati riportati sulle tabelle di scrutinio cartacee”. Dov’è l’equivoco? La vicenda dimostra ancora una volta la ricerca esasperata della polemica vuota da parte del centrosinistra. Eppure chi promette la serietà al governo dovrebbe imparare ad esercitare questa virtù anche dagli scranni dell’opposizione. Ma del resto si sa il professore se non ha poltrone è abituato a migrare.

Su Ragionpolitica del 7 aprile

07 aprile 2006

Quello che la stampa estera scrive (ma che nessuno riprende)

A tutti coloro che considerano la stampa internazionale come ILVERBO consiglio la lettura di questo interessante post di Watergate che raccoglie tutte le critiche piovute sul professore dall’estero durante il suo incarico a Bruxelles. Io mi limito a riprendere l’estratto di Liberation:

According to Jean Quatremer, the veteran correspondent of Libération in Brussels, the world’s press agrees that Romano Prodi is the worst President of the European Commission ever. The Eurostat affair, which has destroyed any pretence that the reputation of the Prodi Commission has cleaned up the act of its predecessor, comes after a long period in which the President himself has seen his own authority ebb away remorselessly. At last October’s economic summit, he literally said nothing, even though the economy is supposed to be the Commission’s patch. The only country which is not aware of Prodi’s terrible reputation, says Quatremer, is Italy. This is because the majority of the press is hostile to the Berlusconi government, and sees in Romano Prodi the man who has the greatest chances of beating him (Trad. dal fancese, Liberation 27 settembre 2003, vedi sopra, con aggiunta dell’European Foundation).

(Estratto dal blog di Watergate)

06 aprile 2006

05 aprile 2006

Etica e libertà: lo scontro ideologico del 9 aprile

Felicità contro funzionalità. Il duello Prodi-Berlusconi di lunedì si può riassumere in questa dicotomia. Al di là della capacità comunicativa dei due leader si sono scontrate due ideologie che riflettono due approcci contrapposti alla politica, uno più legato ad una visione messianica dello Stato, l’altro portato a considerare lo Stato nella sua mera funzione di macchina istituzionale a servizio dei cittadini. Lo scontro politico nell’Italia di oggi riscopre le categorie antitetiche dello stato morale contrapposto allo stato liberale e questa sfida è stata percepibile nel diverso linguaggio usato dai due contendenti. Prodi continua a far riferimento ad obiettivi generali, facilmente condivisibili ma poco indicativi dell’azione di governo. Più attenzione alla scuola, più attenzione al Sud, ai giovani, ai lavoratori, alle donne. Berlusconi dal canto suo punta ad una descrizione sempre meticolosa delle modalità con cui ottenere quello che è l’obiettivo scontato di entrambe le coalizioni:  la crescita del Paese. Ma mentre l’Unione continua a proporre una visione religiosa della politica per cui soltanto la loro coalizione punterebbe al “Bene del Paese” – questo il titolo del programma di Prodi – il centrodestra cerca di coinvolgere gli elettori sulle tecniche di governo per favorire il benessere di tutti. La diversità è ancora quella tra un’Italia agganciata alla prima repubblica, ricca di propositi di bontà, e l’Italia berlusconiana che si appassiona alle scelte concrete della politica. Piaccia o meno è questo l’esito della rivoluzione del Caimano. Se oggi abbiamo un dibattito bipolare, se oggi come mai l’Italia si confronta sulle scelte di politica fiscale, tentando addirittura di soppesarle e di valutarne l’applicabilità, questo è soltanto merito di Silvio Berlusconi e della rivoluzione liberale che il suo ingresso ha innescato nella politica italiana.
Il popolo del Caimano non è l’Italia scadente, bigotta e di passaggio, descritta e denigrata in questi giorni da Antonio Padellaro e Eugenio Scalfari, ma  è l’Italia che preferisce confrontarsi sulle decisioni concrete e non sulla morale della felicità, è l’Italia che vede per la prima volta la possibilità concreta di giudicare l’operato di un governo. Per la prima volta l’elettorato italiano ha infatti di fronte una classe politica che si assume la responsabilità delle proprie scelte senza tirarsi indietro dalle problematiche del presente, senza dare l’impressione che finora è andato tutto male o così così e domani col tuo voto si può cambiare.
È la sinistra quindi e non Berlusconi che ha spaccato il Paese. L’ingresso dell’imprenditore milanese ha rivoluzionato il modo di relazionarsi alla politica degli italiani, la sinistra invece, non accettando questo cambiamento, è rimasta arroccata sul suo elettorato di parrocchia ed ha diviso il Paese in buoni e cattivi o stupidi. Chi manifesta oggi fiducia nel suo governo democraticamente eletto è oggetto di ludibrio, quando non di disprezzo da parte degli elettori di sinistra, educati dai loro giornali a considerare la politica del centrodestra, non semplicemente una politica non condivisibile nelle priorità e nelle modalità d’azione, ma una politica di meri interessi e strafottente dei problemi della gente. Ecco allora rispuntare la visione messianica dello Stato sintetizzata alla perfezione dall’affermazione conclusiva dell’appello di Prodi: “noi viviamo bene solo se gli altri vivranno bene”. Questa al di là, degli interessi di bottega di ogni partito, è oggi la discriminante ideologica più evidente. L’Unione vuole imporre agli italiani una visione etica dello Stato che interviene e raccoglie per ridistribuire meglio, per realizzare una società più giusta, più felice. Il Polo offre una visione dello Stato discreto, lo Stato liberale che si affida all’iniziativa dei suoi cittadini e va incontro ai più deboli senza togliere a chi ha di più. Questa differenza è emersa concretamente anche nel duello quando i candidati hanno affrontato il tema delicato delle fasce di reddito più deboli. A Berlusconi che parlava di allargamento della no tax aerea e del quoziente familiare, Prodi ha legittimamente opposto un non meglio specificato aiuto diretto che non potrà non ricadere sulle tasche del ceto medio. Il confronto tra le due italie è tutto qui.
L’Italia promossa dal leader della Cdl, è l’Italia che vuole rimboccarsi le maniche senza piangersi addosso ed allo Stato chiede soltanto di favorire un contesto, una società strutturalmente pronta a favorire l’iniziativa privata. L’Italia di Prodi, è l’Italia che aspetta innanzitutto dallo Stato la redenzione della società e che cerca sempre la spinta di qualcuno, della famiglia, delle istituzioni, delle imprese per realizzare qualcosa.
È questo il motivo per cui l’elettore di sinistra non riesce a distinguere le responsabilità del governo, dalla crisi internazionale. La sua visione ha bisogno sempre e comunque di un capro espiatorio, di un responsabile colpevole di non avergli dato la possibilità di conseguire il successo. Lo scontro quindi non è solo tra forze ma tra visioni politiche, le stesse che da oltre due secoli si confrontano in Europa. Da un lato il liberalismo di John Locke che crede nella priorità della società degli individui sullo Stato strumento di garanzia, dall’altro lo statualismo giacobino che predica la priorità dello Stato, e quindi di uno Stato etico interventista, sugli stessi individui.
Il successo più grande conseguito in questi anni resta la rinascita in Italia di una scuola di pensiero liberale e questo successo, al di là dell’esito delle prossime elezioni politiche, possiamo esser certi continuerà a migliorare il livello di partecipazione del cittadino italiano alla vita del Paese.

Apologia del Coglione

Ai cari amici di sinistra, a quelli che ieri a Largo Argentina si sono affrettati a gustare quel po’ di celebrità che qualche cartello con la loro denominazione d’origine controllata poteva dargli, ricordo che dall’altra parte sono secoli che siamo ormai felicemente derisi e insultati da ogni contesto culturale a causa delle nostre idee. Perché tanto disagio per un Coglione che vi dovrebbe onorare? Siete sempre pronti a fare da maestri di vita. Presto educati all’arte dello snobismo radicalchic, sempre unici quando sfottete con quel senso di superiorità misto a sarcasmo che vi portate dentro fin nella culla gramsciana. Basta con questo perbenismo di maniera che stride con una realtà culturale dominata dalla vostra prepotenza! Le mie orecchie sbalordite hanno sentito professori di liceo che emulavano in malo modo un Benigni o un Moretti e mettevano alla berlina chi osava non dico difenderLo ma semplicemente riflettere su quella proposta alternativa alla sinistra. I miei occhi hanno visto corridoi ed aule di università piene zeppi di soloni di sinistra che da un lato cristianamente sputavano sopra questo “parvenu volgare e ambizioso”, dall’altro dimenticavano immediatamente la storiella dei conflitti d’interesse quando c’imponevano di spendere 200 € per acquistare i preziosi testi che scrivevano guarda caso per il loro stesso esame. Sono stato e continuo ad essere gioiosamente turlupinato sul treno, in spiaggia, al lavoro. Dovunque basta avere un Libero o un Giornale in mano per essere felicemente considerato un misero stupido, uno di quei disgraziati che non capendo ha mandato a Palazzo Chigi un criminale. Uno di quelli che Antonio Padellaro sull’Unità ha definito popolo del Caimano, minoranza di massa, combattiva, entusiasta che si sente consustanziale con il fondatore del partito e quasi unita a lui in una sorta di corpo mistico. Ed ora voi vorresti rubarmi questa parte del fesso ante litteram? Siamo seri mie cari rosapugnettari e rifondaroli e margheritini. Lo sfottò del Berluska è stata l’occasione per divertirsi una volta di più grazie al nostro fantastico premier, quanto vi annoierete senza! E se nessuno mai si era permesso di darvi del Coglione, fidatevi, serve anche questo nella vita!

04 aprile 2006

Quando L’Espresso epurava Prodi

Dalle Balle Blu di Travaglio al Caimano di Moretti, dal Viva Zapatero della Guzzanti a Quando c’era Silvio di Deaglio sono solo alcune delle decine e decine di titoli di libri e documentari che affollano gli scaffali delle Feltrinelli di tutta Italia per informarci su tutte le “malefatte” del presidente del Consiglio. Tanta passione nell’indottrinarci sul passato oscuro di Silvio Berlusconi non trova tuttavia una minima corrispondenza nei confronti dell’altro aspirante premier Romano Prodi che pure, come ebbe a dire Piero Ostelino, “non è il candido professore di provincia tutto casa, chiesa e bicicletta” che il centrosinistra vorrebbe far credere. Dalle sedute spiritiche sull’affaire Moro agli sperperi delle due presidenze Iri con la sponsorizzazione di Ciriaco De Mita, il professore ha infilzato una serie d’insuccessi che dovrebbero quantomeno spingere a dubitare delle sue qualità manageriali ma su tutto domina il più osservato dei silenzi da parte dei media.

Eppure non è sempre stato così. Nel dicembre del 1993 quando il Pds di Achille Occhetto, forte della fresca vittoria alle comunali, veleggiava sicuro verso Palazzo Chigi, L’Espresso ci regalava un’inchiesta nella quale venivano indicati i lottizzati dc ai vertici delle aziende statali da smobilitare all’indomani della vittoria della sinistra nelle politiche di primavera. Nel titolo la rivista, diretta allora da Claudio Rinaldi, definì questi manager della balena bianca come “Orfani di un boss minore”, che con l’avvento del Pds al potere esecutivo si sarebbero trovati col culo per terra. E chi guidava la nomenclatura targata dc? In cima alla lista la giornalista Paola Pilati poneva proprio Romano Prodi, lo stesso personaggio cui oggi i post-comunisti offrono le proprie insegne per guidare il governo del Paese.
Interessante rileggere l’introduzione alla figura del professore emiliano:

“Ma vediamo chi sono questi orfani di Gava, De Mita, Misasi o Forlani, questi vedovi di Andreotti e Silvio Lega. Cominciamo da quello che è sempre stato per decenni il simbolo dell’infeudamento scudocrociato nell’economia, l’Iri. Romano Prodi, presidente per la seconda volta dell’istituto di Via Veneto, è un tecnico-politico, vale a dire che la sua figura professionale è sempre stata rafforzata dalla sua militanza nell’ala sinistra della Dc: deve infatti la sua prima nomina, alla metà degli anni Ottanta, a Ciriaco De Mita, allora segretario del partito e ora a un dc super partes (!!!) come Oscar Luigi Scalfaro. Il fatto di avere questa sponda istituzionale potrebbe garantire oggi, la solidità della sua poltrona. E questo mantello protettivo Prodi lo potrebbe stendere anche ad alcuni degli uomini del suo impero[…]D’altronde una parte della sua grandezza la Democrazia Cristiana la deve alla capacità di occupare tutti gli spazi possibili…Era solo qualche settimana fa. La vecchia nomenclatura sembrava destinata a non morire mai. Prima che la balena bianca affondasse…”

Tredici anni fa la rivista, da sempre laboratorio politico della Quercia, riconosceva insomma Prodi come l’uomo simbolo della lottizzazione democristiana, non quindi un mite accademico ma un burocrate con tanto d’impero di clientele da gestire. Oggi tutta questa verità sembra sepolta ma allora, quando la sinistra era appena insolentita dalle uscite anticomuniste del Cavaliere cui venivano dedicate copertine in fez e camicia nera, il nemico sul cui cadavere si doveva danzare era ancora la balena bianca di Romano Prodi.

Le immagini sono linkabili


Da Ragionpolitica del 3 aprile

03 aprile 2006

Esorcismo per far perdere Prodi

Prodi nostro
Che stai con Mieli,
sia De Benedetti il tuo nome
sia Fiat la tua volontà
come in Sme così in Serbia,
dacci oggi la nostra tassa quotidiana
e rimetti su di noi il debito pubblico
come con noi già facesti assieme
ai tuoi predecessori.
Non ci indurre nell’Unione,
ma liberaci dal tuo male,
Amen