23 dicembre 2005

Ds e Coop: un'analisi obiettiva

Di seguito l’editoriale apparso sulla prima pagina del Corriere della Sera di oggi da parte di un editorialista tutt’altro che in odore di “berlusconite”. Un’analisi obiettiva condita di considerazioni lungimiranti su cui ogni elettore del centrosinistra dovrebbe soffermarsi.

Caso Consorte: riflessioni sul collateralismo
I Ds e le Coop. Fine di un'era
L'imbarazzo dei Ds è comprensibile. Dopo avere agitato la «questione morale» e proclamato con una certa arroganza le loro superiori virtù civili, sono costretti a leggere nei giornali che anche il loro partito, come quello di Bettino Craxi negli anni Ottanta, ha subito una specie di «mutazione genetica».
Qualcuno si ribella e denuncia l'esistenza di un complotto. Altri respingono le accuse e rifiutano qualsiasi confronto con gli avversari. Altri ancora accennano a un «mea culpa», ma per ragioni soprattutto di stile, e credono che per uscire da questo brutto sogno basti tornare all'austerità di un tempo.
So che i consigli provenienti dall'esterno non sono generalmente graditi.Ma proverò a dire le ragioni per cui queste reazioni mi sembrano sbagliate e controproducenti.
Credo che i Ds farebbero bene, anzitutto, a sbarazzarsi dell'idea di un complotto. All'epoca di Tangentopoli molti procuratori avevano forti ambizioni e speravano di costituire una specie di Collegio dei censori al servizio della pubblica moralità. Oggi non danno interviste, non partecipano a dibattiti, non si vestono e si svestono di fronte alle telecamere. Può darsi che pecchino ogni tanto di troppo zelo, ma fanno le loro indagini con il piglio e lo stile dei loro colleghi americani, inglesi, francesi o spagnoli.
Piaccia o no, questa è la democrazia moderna. Ne sanno qualcosa Giulio Andreotti, Bill Clinton, François Mitterrand, Helmut Kohl, Gerhard Schröder e persino Tony Blair. Non vedo perché iDs dovrebbero considerarsi al di sopra di ogni sospetto e trattare ogni indagine alla stregua di un delitto di lesa maestà.
In secondo luogo dovrebbero rendersi conto che certe abitudini del passato sono diventate oggi inaccettabili e pericolose. L'osservazione è diretta in particolare a Piero Fassino e per certi aspetti a Massimo D'Alema. Quando i lettori appresero, nel corso dell'estate, che Giuseppe Consorte, presidente di Unipol, informava per telefono il segretario dei Ds sullo sviluppo dell'operazione per l'acquisto di Bnl, Fassino, risentito, ricordò i rapporti di solidarietà e vicinanza che legavano il suo partito al grande movimento cooperativo.
Commise un errore e ne intuisco le ragioni. Sapeva che i grandi partiti operai europei, a cominciare dalla socialdemocrazia tedesca, avevano incoraggiato fin dall' Ottocento la nascita nella loro società nazionale delle istituzioni tipiche di una futura economia socialista: cooperative, banche, case editrici, edilizia popolare. Ma nel momento in cui rivendicava il diritto di avere con il presidente di Unipol un rapporto organico, Fassino non sembrava rendersi conto che il quadro, nell'Europa del mercato unico, era ormai profondamente cambiato. Il fatto stesso che Unipol, società d'assicurazione della Lega delle cooperative, fosse già divenuta una banca e aspirasse ora a inghiottire uno dei maggiori istituti di credito nazionali, avrebbe dovuto metterlo in allerta e suggerirgli una maggiore prudenza.
Fassino avrebbe dovuto comprendere che Consorte non era più l'uomo delle cooperative: era un banchiere come gli altri, inevitabilmente destinato a trattare i suoi affari con la stessa libertà a tutto campo di molti dei suoi colleghi. E in tal modo avrebbe risparmiato a se stesso l'imbarazzo di questi giorni.
                                                       Sergio Romano

19 dicembre 2005

VIA FAZIO, SILVIO NON PESCARE NELLA SINISTRA BUROCRAZIA!

Il Governatore se ne va. Ora l’esecutivo non perda tempo e soprattutto non promuova una nomina sinistrorsa! E un appello a Gianfranco Rotondi che già auspica un candidatura del ciociaro nel Polo: e se andassi a Zelig?

07 dicembre 2005

Sì alla lotta al terrorismo, No allo scontro tra civiltà

Sostengo fermamente una lotta al terrorismo serrata, senza tregua ma mi chiedo: è così inaudito che qualcuno chieda conto del modus operandi? Questo post sarà ancora uno di quelli che su TV susciterà lo sdegno di molti che oggi si affrettano a riconoscere alla CIA carta bianca nello scontro con i terroristi islamici eppure la capacità di autocritica è nel dna della nostra civiltà e non dovrebbe sorprenderci né spaventarci. È giusto allora che qualcuno chieda spiegazione di alcune modalità di lotta preventive che non appartengono alla nostra storia? Io credo di sì e non vedo perché una semplice richiesta d’informazioni debba essere interpretata come un intento accusatorio. Lo stesso primo ministro inglese, strenuo alleato degli Usa, ha ribadito oggi che in nessun caso si può accettare il ricorso alla tortura e che Guantanamo “è un’anomalia che deve finire”. Io mi sento orgogliosamente europeo quando le istituzioni dei paesi dell’Ue invitano la Casa Bianca a rispettare le convenzioni internazionali e a cessare metodi primitivi di imprigionamento. Considerare prioritario il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo non significa rinunciare ad una politica realistica anzi. Dalla capacità di affrontare con determinazione casi come Abu Ghraib e Guantanamo dipende il valore del nostro credito nei paesi islamici. Io sono pronto a qualsiasi tipo di verità emerga da queste vicenda ma l’Occidente deve dimostrare di credere nei propri ideali senza accettare deroghe. Non ci si può arrogare una visione realistica dello scenario mondiale immaginando una lotta che non abbia alcun rispetto per la dignità umana, non possiamo accettare che per perseguire i terroristi rinunciamo a garantire il diritto ad un giusto processo. Essere fedeli alleati, come lo stesso Berlusconi ha detto più volte, non significa essere subalterni alle scelte di un altro stato, fosse solo perché queste scelte c’interessano direttamente.

28 novembre 2005

“Pubblicità regime”: via al fondo High Tech per le PMI del Sud

Alla faccia di chi rosica quando i blogger suppliscono al vuoto mediatico sulle azioni concrete della politica, oggi scrivo del nuovo strumento lanciato dal governo per favorire l’innovazione nelle PMI del Mezzogiorno. La settimana scorsa è stato pubblicato in Gazzetta il decreto interministeriale che punta a promuovere la partecipazione del capitale di rischio nelle Pmi che utilizzano tecnologie digitali per l'innovazione di prodotto e di processo. L’iniziativa rientra nelle misure previste dalla Finanziaria per il 2005, approvata quindi un anno fa circa, e dimostra ancora una volta come l’attività di un governo vada valutata nei tempi giusti. Ma vediamo le novità di questo nuovo sistema di finanziamento.
In primo luogo le imprese che accederanno al Fondo avranno ben dieci anni per restituire il prestito, un tempo quindi sufficientemente ampio per raccogliere i frutti delle nuove tecnologie introdotte. I fondi sottoscritti saranno gestiti da SGR (società gestione risparmio) con una partecipazione dello Stato che varierà dal 50% per i fondi specializzati al 33% per quelli generalisti. Il supporto statale ridurrà al minimo il rischio degli investitori privati cui tuttavia in caso di successo del progetto saranno lasciati i maggiori profitti. Infine sul modello israeliano i costi dell'istruttoria, che spesso rappresentano un freno al venture capital, saranno a carico del fondo stesso.

24 novembre 2005

THANKSGIVING CHE?

Sarò probabilmente oggetto degli strali da parte dei tanti TVillers che stravedono per questa celebrazione ma perdonatemi se vi dico che questo TGiving day proprio non mi appassiona!
Scusatemi :-)

TFR: ennesimo gol del Governo, se ne parlerà?

E arrivò la riforma del TFR. Alla faccia di chi gufava anche quest’altra grande riforma è andata in porto introducendo nel nostro sistema pensionistico la previdenza complementare che consentirà una migliore efficienza di tutto il sistema di tutela dei lavoratori. La riforma entrerà in vigore dal 2008 anziché dal 2006, ciò da un lato scredita ogni accusa propagandistica – la maggioranza non potrà infatti raccoglierne con certezza i frutti di questa dura battaglia – dall’altro però sussiste il rischio che la nuova normativa non trovi un governo capace di renderla effettiva. La riforma del TFR è stata comunque la classica patata bollente che la Cdl responsabilmente ha affrontato. Divertente il siparietto fotografato dall’inviato dell’Apcom che qui riporto integralmente:

Un Giulio Tremonti particolarmente soddisfatto per l'approvazione della riforma del Tfr si trasforma in giornalista e rivolto a una cronista del Tg3 le chiede: "Posso farle io una domanda? Se lo aspettava?". Passa qualche secondo di sorpresa e la giornalista della tv pubblica ribatte pronta: "Si, era una delle ipotesi che avevo pensato, ma mi sembra importante anche il suo ruolo di mediatore". Il ministro dell'Economia non molla la presa e continua: "Ma mi dica è meglio averla nel 2008 (la riforma, ndr) o non averla per niente?". Nuova risposta della giornalista che replica: "Si, non c'è dubbio, l'importante è averla...". Quindi l'affondo del titolare di via XX Settembre: "Quindi lei lo dice in tv?". Risposta finale tra le risate: "Si che lo dico, io non riporto i miei pareri, riporterò il suo...".  

È esattamente quello che cerco di predicare con questo blog: POLO PARLA!

E-Government made in Italy promosso a pieni voti

Ancora un bravo al governo! Questa volta arriva direttamente dalla Conferenza Ue sull’e-Government in corso a Manchester dove è stato diffuso il rapporto sullo stato di avanzamento dell’ e-Gov nei paesi più industrializzati. Lo studio, commissionato dal governo Blair, ha plaudito ai considerevoli progressi compiuti dal nostro Paese nell'informatizzazione della pubblica amministrazione che sta portando importanti frutti a favore di una burocrazia più snella e più accessibile a cittadini e imprese. Nonostante la sfavorevole congiuntura economica il governo Berlusconi è stato in grado di colmare, secondo gli analisti, il gap digitale che l’Italia scontava nei confronti degli altri paesi più avanzati. Il report mette in evidenza gli sforzi compiuti dal governo sia sul versante delle infrastrutture, con lo sviluppo del Sistema pubblico di connettività, che su quello normativo con il varo del Codice dell’amministrazione digitale, in vigore dal prossimo gennaio. Ancora sulle smart card l’Italia sarebbe ai primi posti nel mondo grazie ai vari progetti che vanno dalla Carta d’identità elettronica alla firma digitale alla carta nazionale dei servizi. Lo studio ha approfondito anche nello specifico i servizi che, grazie al digitale, sono stati messi a punto nei diversi ambiti del servizio pubblico:  il Centro Unico di Prenotazione e le Carte regionali dei servizi sul fronte sanitario e i progetti promossi di concerto con la Moratti per fornire a tutte le scuole livelli adeguati di accessibilità alla rete e di strumentazione hardware.
Il rapporto è stato curato dalla società internazionale di consulenza , Booz Allen Hamilton, sul cui sito sarà presto disponibile. Dopo il silenzio sul buon andamento di occupazione e formazione, registrato dal rapporto Isfol, aspetto con curiosità come i quotidiani riprenderanno i dati positivi pubblicati da quest’osservatorio.

23 novembre 2005

Irpiniagate: gli sciacalli si riciclano

Fra qualche ora scatta l’anniversario dei 25 dal terremoto dell’80 che devastò il cuore verde della mia Campania. Venticinque anni fa finì un mondo per molti paesi dell’Alta Irpinia, un mondo fatto di tradizioni radicate, di un semplice ma profondo sentire religioso, di un onesto studiare e lavorare. Il terremoto decretò la distruzione non solo fisica dell’Alta Irpinia ma anche e soprattutto morale. Agli sciacalli tra le case cadute, seguirono i più pericolosi e cinici sciacalli tra gli stanziamenti che di lì a poco cominciarono a piovere senza alcun controllo. Il terremoto accelerò le già forti spinte migratorie lasciando quelle zone in mano a chi fu più svelto a capire che il sisma poteva diventare una manna vera e propria. Da lì prese il via la stagione della commistione massima tra affari e politica nella storia della repubblica che avrà il suo culmine in tangentopoli. Ciriaco De Mita costruì la sua improbabile carriera di leader dc all’ombra dei miliardi che passarono fra le sue mani e che riuscì a deviare in favore dei suoi amici imprenditori molto spesso del Nord, in primis Calisto Tanzi. Ma l’attentato più grave dell’ex-segretario dello scudocrociato non fu, per quanto meschino, l’abuso sul denaro pubblico quanto piuttosto lo snaturamento della vocazione agricola, pastorizia e artigianale dell’Alta Irpinia cui s’impose dall’alto un modello industriale inconsueto per la storia di quell’economia e per le infrastrutture di quel territorio. Gli stabilimenti della Parmalat a Lioni e della Ferrero a Sant’Angelo dei Lombardi non funzioneranno mai a pieno regime ma nonostante ciò alle rispettive società quella classe politica versò interamente gli assegni di finanziamento ancor prima che la prima pietra di quegli stabilimenti fosse posta. Che pena vedere ora Bassolino che si aggira in un tuor pre-elettorale a denunciare gli abusi dell’epoca mentre nella giunta sopporta una spinosa alleanza con la Margherita di cui De Mita è attualmente segretario generale (nonché mentore di Rutelli!). Che rabbia nel vedere Oscar Luigi Scalfaro il moralista dare lezioni di democrazia e di rispetto della volontà popolare quando, come rpesidente della commissione d’inchiesta sul terremoto, non ebbe il coraggio di scoperchiare le magagne che i suoi colleghi di partito avevano coltivato nell’Irpiniagate.

Se il Paese va bene non si dice

La formazione e l’occupazione in Italia migliorano ma il “regime” lo nasconde! Vorrei che qualcuno m’indicasse quali quotidiani oggi hanno riportato i dati nettamente positivi emersi dall’annuale rapporto sull’occupazione pubblicato ieri dall’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori. Si tratta di un’analisi molto pacata e sicuramente imparziale che non nasconde certo le criticità ancora esistenti del nostro mercato del lavoro ma individua anche importanti indicatori di miglioramento.
Secondo l’Isfol il nostro Paese ha conseguito lo scorso anno un +0,8% di crescita occupazionale, rispetto al +0,5% della media Ue, registrando inoltre il più significativo miglioramento della disoccupazione femminile proprio nel Meridione (-2,1%), insieme a una generale riduzione dei differenziali di genere. Ancora più interessante la comparazione con gli altri membri dell’Ue. Insieme a Gran Bretagna, Grecia, Spagna e Finlandia, l’Italia ha registrato infatti la diminuzione più veloce della disoccupazione strutturale. Il buon andamento dell’occupazione, rispetto ai dati certamente meno confortanti sulla crescita economica, dipenderebbe secondo l’Isfol dalle riforme varate nel corso degli ultimi anni. Le riforme Biagi e Moratti avrebbero infatti modificato profondamente il sistema del lavoro e della formazione anche se è ancora presto per coglierne appieno i risultati. L’Isfol sottolinea inoltre come resti “cruciale il dialogo tra Governo, Regioni e Parti sociali”. Alle Regioni, in particolare, è affidato il compito più delicato: rendere reali e concreti sul territorio i processi di riforma.
Chi desidera approfondire troverà la sintesi e le tabelle sul sito dell’Isfol. Io mi limito a sottolineare il silenzio mediatico su questo rapporto. C’è una troppo evidente sperequazione tra il modo con cui vengono amplificati i giudizi negativi sul nostro Paese e il silenzio assordante che vige su analisi e previsioni più confortanti. Nonostante i numerosi lanci da parte di tute le agenzie di stampa fino ad adesso son riuscito a trovare la notizia soltanto sul Secolo d’Italia che, come quotidiano di partito, ha un bacino ovviamente limitato. Eppure lo studio dell’Isfol non è così eclatante ed offre spunti interessanti che vanno al di là della convenienza politica di maggioranza o opposizione. Anche dove il rapporto registra risultati molto positivi come l’università – dove i laureati sono un iscritto su due, rispetto ai tre su dieci di pochi anni fa – si rimarca la necessità di qualificare sempre di più i giovani rispondendo così alla richiesta di risorse qualificate da parte del mondo del lavoro. Insomma continuiamo a perdere l’occasione di discutere in modo costruttivo su temi concreti mentre non ci sfugge mai il gossip sul Quirinale o un sindaco cretino in cerca di pubblicità che sopprime una targa commemorativa! Qual è il regime?

22 novembre 2005

Quando L’Espresso epurava Prodi

Ecco come, all’indomani della vittoria del centrosinistra nelle amministrative, L’Espresso del 5 dicembre del ’93, esattamente dodici anni fa, preannunciava cum magnum gaudium l’ormai prossima smobilitazione dei lottizzati dc. E chi ritroviamo in cima all’elenco dei burocrati dc da epurare? UDITE! UDITE! Romanino Prodi! Sì proprio lui, l’uomo nuovo che oggi per la sinistra ce la può fare. Nel 1994 era il lottizzato Dc per antonomasia che apriva la disamina brillantemente condotta da Paola Pilati, giornalista del settimanale da sempre faro della sinistra. Riporto qui qualche stralcio tratto da quel pezzo, intitolato in modo direi lungimirante:

ORFANI DI UN BOSS MINORE, Terremoto elettorale/I dc lottizzati allo sbando
Buona lettura!

E ora che le lezioni amministrative hanno sancito quello che i vigili della piazza e il sacrestano della vicina parrocchia avevano già capito da tempo, che la Dc è defunta, si pone un problema: che fine faranno i suoi orfani nella nomenclatura? Come si comporterà quell’armata di manager, presidenti di banche e di enti… improvvisamente privata di una bandiera?

Oggi possiamo rispondere a Paola Pilati con sicurezza: si candideranno a  guidare il centrosinistra!

Ma vediamo chi sono questi orfani di Gava, De Mita, Misasi o Forlani, questi vedovi di Andreotti e Silvio Lega. Cominciamo da quello che è sempre stato nei decenni il simbolo dell’infeudamento scudocrociato nell’economia, l’Iri. Romano Prodi, presidente per la seconda volta dell’Istituto di via Veneto, è un tecnico-politico, vale a dire che la sua figura professionale è sempre stata rafforzata dalla sua militanza nell’ala sinistra [quanta casualità in questo aggettivo?] della Dc: deve infatti la sua prima nomina, alla metà degli anni Ottanta, a Ciriaco De Mita, allora segretario del partito e ora un dc super partes [nel ’93 significava disarmato] come Oscar Luigi Scalfaro. Il fatto di avere questa sponda istituzionale potrebbe garantire oggi, la solidità della sua poltrona. E questo mantello protettivo Prodi lo potrebbe stendere anche ad alcuni degli uomini su cui fa affidamento per governare le province del suo impero [capite? Secondo L’Espresso l’uomo “che oggi ce la può fare” aveva nel ’93 le mani su un impero!]

Ed ecco come infine la Pilati chiude l’articolo:

…D’altronde un parte della sua grandezza la Democrazia Cristiana la deve alla  capacità di occupare tutti gli spazi possibili…Era solo qualche settimana fa. La vecchia nomenclatura sembrava destinata a non morire mai. Prima che la balena bianca affondasse. Ed era molto, molto tempo fa.

Dedico questo post, un po’ cinicamente forse lo ammetto, ai tanti amici che albergano sotto le insegne del centrosinistra e si sforzano di celare i propri mal di pancia quando mortadella-Prodi parla – ma sarebbe più giusto dire mugugna – pur di affermare la solidità dell’Unione. Non abbiamo bisogno d’intentare processi di piazza o scavare in archivi così profondi per ricordare le origini del vostro leader e la stima di cui godeva a sinistra. Bastano le vostre fonti, adorate e onorabilissime fonti, a raccontarvi una verità incontrovertibile.

PS: per chi lo desidera presto pubblicherò l’intero documento.
    

21 novembre 2005

Il liberismo cinese copra le rughe dei nostri cervelli

Rinvio tutti i grandi economisti che s’indignano quando si parla di anti-dumping all’articolo di Filippo Facci pubblicato oggi dal Giornale. Lasciando da parte il pur preminente discorso etico un dato emerge ancora una volta incontrovertibile: la Cina sta facendo la parte del leone nel libero mercato senza avere nessuna carta in regola per parteciparvi. La straordinarietà della sua crescita, possibile soltanto grazie allo sfruttamento indiscriminato delle sue risorse umane, è una straordinarietà che non è prevista nelle teorie liberiste che sono proprie di paesi democratici. Alla disinvoltura con cui i cinesi continuano a violare i fondamentali diritti dell’uomo fa da contraltare il rigore con cui noi italiani teniamo fede a delle regole che non rappresentano un Verbo ma solo uno paradigma di sviluppo. Così mentre la nostra economia subisce lo shock del passaggio da una produzione tirata dalla svalutazione ad una rallentata dalla giusta e sacrosanta pesantezza dell’euro, mentre il nostro tessuto imprenditoriale è colpito passo dopo passo nei settori a basso e medio tasso tecnologico - trainanti nel nostro Paese - noi custodi ortodossi di Smith e Ricardo, come un popolo di Jacoponi da Todi accettiamo di essere stretti da un uso improprio della concorrenza e del libero mercato. Accettiamo quindi cari liberisti che le nostre donne coprano le loro rughe col collagene dei condannati a morte dalla mirabile Repubblica Popolare perché: business is business, right?

17 novembre 2005

Silvio, se si è bravi perché non dirlo?

Oggi il ministro Stefano Caldoro ha presentato Monitor, il software che racchiuderà in un’unica panoramica tutto lo stato di attuazione del programma di governo. L’idea di fondo è importante: valutare nel complesso il cammino delle iniziative di tutti i dicasteri mettendo così in evidenza le eventuali criticità che bloccano l’iter di un determinato provvedimento. Il sistema inoltre permetterà di valutare anche i riflessi della normativa successivamente all’entrata in vigore, indicando inoltre le risorse finanziarie impiegate e la capacità di raggiungere gli obiettivi prefissi.
Semmai verrebbe da temere che prima i controlli di Palazzo Chigi derivassero in toto dalla documentazione prodotta dai vari dicasteri. Ma i ministri impiegati da Silvio hanno lavorato bene e Monitor lo dimostra indicando le ben 1833 iniziative governative realizzate che rappresentano l’85% del programma, con molti progetti altri progetti – come tfr e procedure concorsuali - ormai in dirittura d’arrivo. Nella conferenza stampa di presentazione il segretario generale della presidenza del Consiglio, Mauro Masi, ha già anticipato l’intenzione di mettere a disposizione dei cittadini Monitor cosicché potranno essere loro stessi a controllare l’evolversi dell’attività dell’esecutivo. La mia opinione è che questa seconda fase andrebbe anticipata al più presto e che comunque la maggioranza dovrebbe sfruttare al massimo la capacità di analisi di questo sistema.
La gente, anche quella meno schierata, è ancora troppo inconsapevole della quantità di riforme varate dal centrodestra, è questa non mi stancherò mai di dirlo è una colpa gravissima della maggioranza che ancora non corre ai ripari. Certo aver fatto tanto non vuol dire aver lavorato bene ma conoscere i cambiamenti che il governo Berlusconi ha impresso in tutti i settori del nostro Paese è il punto di partenza per avviare una discussione costruttiva nell’interesse di tutti.

Costituzione: la sfida più grande all’ancien règime

Il varo di una vera riforma costituzionale rappresenta la scommessa più grande del Polo. Scommessa e non vittoria perché il referendum abrogativo sarà una prova di successo di questa legislatura per certi versi anche più importante delle stesse politiche. Sulla questione non si ammettono mezze misure. Chi come Follini contesta la riforma per quanto mi riguarda si mette già fuori il progetto della Casa delle Libertà e questo non perché la nuova costituzione sia priva di difetti, ne ha ogni legge, ma perché questa sfida incarna la lotta per il rinnovamento complessivo del Paese ingaggiata dal centrodestra, il suo essere la vera forza riformatrice del panorama politico Italia. Chi contesta la bontà della riforma insomma difende il sistema vigente con tutti i suoi handicap e il vecchiume che si porta dietro. Non si riscontra più in alcuna democrazia il bicameralismo perfetto – che in fondo non era nemmeno nella testa dei padri costituenti – così come in nessuna democrazia il capo del governo ha prerogative così ristrette. Non parliamo poi della profusione eccessiva dei parlamentari in numero esagerato rispetto a Paesi che hanno una popolazione ben maggiore della nostra come Germania e USA. Chi poi si dice malato di bipolarismo non può non apprezzare la scelta diretta del premier contestuale al voto sui deputati. Certo i cambiamenti nascondono sempre delle insidie, per esempio il rischio frammentazione e clientelismo nella burocrazia regionale, ma quale grande sfida non presenta incognite?

16 novembre 2005

Se la Cdl è più libera di Fredom House

“Amo” gli antiberlusconiani che pretendono di ragionare sui fatti e quindi voglio rispondere dati alla mano all’ultimo commento di Cristian al mio precedente post.
1)Se vogliamo ragionare sulla fondatezza del rapporto di FH mettiamo da parte per un attimo quella che è la nostra lettura dell’Italia e sforziamoci di valutare l’obiettività di questo studio.
2)Quando tu dici che in fondo la sentenza di Jannuzzi è giusta perché nel nostro Paese è previsto il reato di diffamazione a mezzo stampa metti in dubbio tu stesso il valore dell’analisi di FH che ha scambiato una condanna – che si può contestare o meno - per una persecuzione politica!
3)Leggendo il documento come tu consigli la scarsa professionalità di questi analisti emerge ancora più chiara. Spiegami per esempio che dato rappresenta scrivere: Lili Gruber, quit in reaction to Berlusconi’s domination of the media. Che cos’è questa? Un analisi? Oppure un semplice giudizio azzardato? Vorrei capire. Un professionista di lungo corso della Rai decide di entrare in politica con la coalizione avversa al governo e il suo giudizio sull’esecutivo diventa un dato oggettivo per definire il grado di libertà nel nostro Paese? E poi cosa significa scrivere tanto per dire che Berlusconi è presente nel 42% dei servizi dedicati ai politici? Forse che dovrebbero concedere più spazio al presidente della sezione della Lista Di Pietro di Canicattì?
4)La legge Gasparri come tutti i provvedimenti è suscettibile di critiche ma perché non argomentare? Perché chi pretende che si legga la bibbia di FH non legge anche i testi delle norme che critica? Io dovrei dedurre che la legge Gasparri è ad personam perché Ciampi ne rinviò l’approvazione e perché prevede il salto al digitale terrestre?

Approfittando del dibattito sul rapporto di Freedom House riacceso da Cristian pubblico qui la “breve” analisi con cui l’Italia è stata classificata come paese parzialmente libero.

Freedom of speech and the press are constitutionally guaranteed. Legislators moved in July toward abolishing prison sentences for libel, a development welcomed by media organizations, but the proposed amendments have yet to be adopted. Politicians and their allies filed several libel suits against journalists during 2004; in February, journalist Massimiliano Melilli was sentenced to 18 months in prison and ordered to pay 100,000 euros (US$124,400). In July, a 76-year-old journalist and senator was placed under house arrest, relaxing his 2002 sentence of 29 months’ imprisonment for libel. Press freedom organizations criticized two separate government raids on journalists’ homes and offices, owing to the journalists’ refusal to reveal their sources for controversial, investigative reports.
Most press outlets are privately owned but are often linked to political parties or run by large media conglomerates that exercise some editorial influence. In December, journalists at Italy’s leading and highest-selling daily, Corriere Della Sera, protested increasing editorial interference and pressure in the newsroom from its shareholders. The newspaper is owned by RCS Mediagroup, in which 15 of Italy’s major conglomerates have a stake. Concerns about the concentration of media ownership have been an issue since the election in 2001 of Silvio Berlusconi, a media magnate and Italy’s wealthiest individual, as prime minister. The print media, which consist of eight national newspapers, two of which are controlled by the Berlusconi family, continue to provide diverse political opinions, including those critical of the government. However, Berlusconi controls or influences six of the seven national broadcast channels. Mediaset, a company in which he has a major interest and the largest private broadcaster in the country, owns three national channels, while the state-owned network (RAI), traditionally subject to political pressure, controls three.
Questions continue to be raised about the political impact of Berlusconi’s control of the media. The Osservatorio di Pavia, an independent media watchdog, reported that in the month of February, Berlusconi’s presence on television accounted for 42 percent of the time dedicated to politicians. During the year, the head of RAI, Lucia Annunziata, and one of its star television broadcasters, Lili Gruber, quit in reaction to Berlusconi’s domination of the media. A long awaited conflict of interest bill, which was intended to resolve the contradictions between Berlusconi’s private business and his role as prime minister, was passed in July. Although the bill limits the managing control politicians have over their holdings, it does not bar them from owning companies. As a result, the bill, which was criticized as being toothless by critics, will have little impact on Berlusconi’s media empire.
In April, the parliament adopted a law on broadcasting reform, known as the Gasparri Law, which ostensibly introduces a number of reforms, such as the switch-over to digital broadcasting (scheduled to take place in 2006) and the partial privatization of RAI. The law was initially vetoed in December 2003 by President Carlo Ciampi, who was urged to do so by media organizations claiming the law threatened press freedom and undermined news pluralism. Although the revised law has a clause that limits the maximum revenue a single media company can earn, it excludes
interests in publishing, cinema, and the music industry. Critics of the law still say that it reinforces Berlusconi’s power over the media. The new law also allows one of the three Mediaset channels, Retequattro, to continue terrestrial broadcasting. The decree runs counter to a 2002 Constitutional Court ruling that demanded the channel switch to satellite by January 2004 to ensure competition. The shift to satellite would have led to a considerable loss in the station’s market value.

26 ottobre 2005

Quando il governo arresta i suoi sostenitori…è illiberale!

Non volevo star dietro alle fesserie di Adriano Celentano in Tv, non volevo, lo avevo scritto nel primo post ed invece eccomi tornare per la terza volta sull’argomento. Questo perché gli sviluppi che la vicenda sta assumendo sono sempre più utili per riflettere sulla perniciosa attitudine a distorcere la realtà diffusa nel nostro Paese, sempre più illuminanti per chi preferisce analizzare i fenomeni anziché sposare in toto il credo liberticida. Ad offrire nuovi spunti è l’articolo pubblicato oggi sul Giornale e firmato da Felice Manti che come nelle migliori inchieste si è preso la briga di approfondire i dati riportati nel documento citato da Celentano a RockPolitic. Manti ha cercato di capire i criteri che hanno portato la società autrice della famigerata ricerca, la Freedom House, a inchiodare l’Italia al 77° posto nella classifica sulla libertà di’informazione. Stando a quanto dichiara una delle autrici della classifica le fonti utilizzate sarebbero centri studio e associazioni italiane non meglio identificate, insomma dati di seconda mano forniti da altri, giusto perché si indaga su qualcosa di così delicato. Ma l’aspetto più ridicolo-drammatico messo in luce dal Giornale è che sulla scarsa libertà d’informazione concessa dal nostro governo graverebbe l’arresto di Lino Jannuzzi, senatore indipendente eletto con Forza Italia! Ora al di là del fatto che il senatore è stato graziato da Ciampi ma come si fa a considerare “parzialmente libero” - questa è la qualifica che Freedom House ha attribuito all’Italia – un paese in cui va agli arresti un parlamentare che sostiene il governo in carica?

25 ottobre 2005

L’estetica di Gino Paoli contro l’etica di Celentano

Splendida l’intervista a Gino Paoli pubblicata sul Corriere della Sera di oggi. Contro il qualunquismo buonista del molleggiato arriva il senso pratico del cantautore genovese a ribadire una volta di più lo scarso valore artistico della trasmissione di Celentano. La critica attenta di Paoli è interessante non solo perchè viene da uno veramente di sinistra ma perché è una critica sui contenuti, sullo stile e insomma sulla qualità in generale di “Rockpolitick”. Davanti ai problemi della società Paoli prima di ergersi a demiurgo mostra la saggezza di chi sa mettere in discussione innanzitutto sé stesso, la propria professionalità evitando di cadere in una visione religiosa della realtà ma sollevando dubbi su ogni posizione che si vuole spacciare per verità assoluta. Ecco allora il mio blob delle parole più significative dell’autore del Gioco della vita certamente più interessante della Pubblica ottusità.

Sulla politica:
…ognuno deve fare il suo mestiere. Perché in quello che fai c’è la tua capacità di modificare le cose, nella tua umanità sta il tuo messaggio politico. Senza bisogno di proclami

Sulla lentezza:
Una contrapposizione assurda. È sbagliato distinguere tra buoni e cattivi, tra giusto e sbagliato. L’etica è una parola vuota, la mia categoria è l’estetica: ha senso quello che ti piace, che ti emoziona. Dividere il mondo così è una mancanza di fantasia. E poi sono contrario ai fanatismi. Sposare le cause non è nelle mie corde… se proprio dovessi, farei un elogio della lentezza. Se c’è un problema nella nostra società è la velocità, la frenesia che rovina il pensiero. A scapito della soglia critica

Sui luoghi comuni:
…C’è troppo qualunquismo in giro. Ricordo di essere salito sul palco con il mio amico Grillo, che fece una sparata contro i politici. Applausi scroscianti. Poi parlai io: ma scusate, se le statistiche non sbagliano la metà di voi ha votato Berlusconi. Troppo facile applaudire ora.

Sul “regime”
Una grande stupidaggine. Io ho 70 anni e lo so bene che cos’è un regime. E poi basta demonizzare Berlusconi. In questo modo le hanno già perse una volta le elezioni

21 ottobre 2005

Celentano non sposta voti fa spegnere la tv

Francamente non capisco tanti clamori. Mentre il Paese porta avanti riforme profonde del nostro sistema statale continuiamo a perder tempo dietro a qualche saltimbanco che profetizza tempi cupi manco fossimo sotto il regno di Saruman. Lo stesso ministro delle Comunicazioni Landolfi mi ha stancato. Prima fa girare un comunicato in cui assicura che guarderà Celentano dichiarando di esserne un fan accanito – mi piace moltissimo – oggi occupa la seconda pagina del Corriere per dire che la trasmissione ha dato inizio alla propaganda del centrosinistra. Eppure è chiarissimo che un vecchio personaggio come il molleggiato non sposta voti semmai ti fa spegnere la Tv, che poi è il risultato socialmente più utile che possa raggiungere uno show. Insomma ma ci rendiamo conto di quanto sia tutto assurdo? Questo fesso va in televisione con l’aria da profeta saccente che è vissuto sulla torre d’avorio e invia i suoi strali sulla società demoniaca che ci circonda? Ma da dove viene Celentano? Forse da Saturno? O è semplicemente un altro vecchio che non accettando di restare nella storia della canzone italiana vuole ottusamente invadere sfere che non gli competono affatto? Eppure Adriano il becchino – con quegli occhiali da sole ma ci rendiamo conto? – è uno dei figli più illustri di questa società su cui sputa come se non ci avesse avuto mai nulla a che fare. A me ricorda Enzo Biagi, altro superqualunquista apparente, vecchio come lui dentro prima che fuori di quelli che ti propongono Prodi come uomo che ce la può fare a cambiare il nostro Paese. e allora sapete cosa vi dico? Mi tengo i capelli finti e le guanciotte siliconate di Silvio;)!
    

Sui media non c’è spazio per la politica

Le reazioni vuote e piene di propaganda del centrosinistra alla politica della Cdl sono il segnale più chiaro dell’incompetenza politica di quest’opposizione. Anziché lottare per modificare secondo le loro tesi le iniziative legislative del Polo come la riforma elettorale e quella costituzionale questi sinistrorsi sanno soltanto gridare allo scandalo, all’attentato alle regole, alla democrazia. Quelle poche voci che pure si sono alzate a proporre uno confronto vero seppur aggressivo articolo su articolo, come Claudio Grasso di Rifondazione e il diessino Stefano Ceccante (segnalato da Conservative Mind), vengono lasciate inascoltate. I quotidiani purtroppo non fanno che eco alle polemiche contribuendo ad alimentare quell’ignoranza che imperversa sui testi delle riforme che pure non sarebbero così complessi da spiegare. Berlusconi che inciampa o Follini che ha dimenticato le cravatte per Bonaiuti trovano sui nostri maggiori quotidiani più spazio dei contenuti delle riforme che si apprestano a trasformare importanti settori della nostra vita quotidiana. Questa confusione non servirà a nessuno non all’Unione per guadagnare i voti degli scontenti, non al Polo che dovrebbe comunicare meglio il senso delle proprie iniziative, servirà invece, questo sì, ad allargare le file degli astensionisti. Per chi come me ama la politica vera dei dibattiti anche accessi ma appassionanti sulle grandi scelte che interessano la comunità, il vuoto mediatico che ci circonda è di una tristezza infinita. Per fortuna ci sono i blog!;)

20 ottobre 2005

Riforma costituzionale: altro che primarie

Dopo il proporzionale la Cdl mette a segno un altro colpo secco con l’approvazione alla Camera delle riforme costituzionali ben più importante del “successo” delle primarie tanto reclamato dai media. È il segno che c’è ancora tempo per fare i conti di fine legislatura. Mentre l’opposizione gioca a vincere la maggioranza si rimbocca le maniche per portare a termine le riforme più importanti elaborate in questi anni. Quella costituzionale si affianca così alle riforme sul risparmio – alla Camera dopo il sì la settimana scorsa del Senato – sulla legge elettorale – alla faccia di Sartori che si ostina a profetizzare – alle pensioni complementari che prossimamente il Cdm varerà. Il tutto si accompagna ad una strategia politica complementare che vede saltare la testa del funesto follini e riconquistare il feeling con gli industriali…altro che primarie!

17 ottobre 2005

Primarie: democrazia in maschera

La nota più triste di questa carnevalata di primarie sono le foto – una è sul Corriere di oggi – dei sostenitori di Simona Panzino che sono andati alle urne col passamontagna arcobaleno. Non mi piace il significato di questo gesto, per questa gente la politica è lotta tra Bene e Male che giustifica qualsiasi mezzo. La stessa Panzino raccontava al Corriere della Sera come il padre le aveva insegnato fin da piccola che a sinistra stanno i buoni, a destra i cattivi senza alcuna attenuante. Ed io mi chiedo qual è il confine tra militanza e fanatismo.  Per il resto queste primarie sono state un semplice esercizio di propaganda per l’Unione. Una sorta di grosso evento di promozione autoreferenziale. Sembra gli sia rimasto solo questa utopia: di essere i soli a decidere le sorti del Paese. Intanto la maggioranza degli elettori di sinistra resta scettica su Prodi, gli indecisi non ne parliamo e i passamontagna non indignano.

13 ottobre 2005

Mastella che viene, elettore che va

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Presidente non si lasci ingannare dalla sirene dei centristi dell’opposizione per i cacciatori di poltrone i valori in comune sono solo distintivi intorno aL quale costruire un’identità. Se poi il suo invito alla Margherita e all’Udeur è solo una tattica per sedurre il loro elettorato lasci perdere lo stesso. Veramente crede che chi votA il Campanile voglia sostenere un’idea politica? E la Margherita? Lasci stare anche loro Presidente, avrebbe mille e mille Follini che le rompono le scatole ogni giorno, mille e mille più volte dell’Udc e le assicuro in quel caso non avrebbe più la mia comprensione.
Piuttosto presidente mi ascolti: a farle guadagnar voti non è lo spauracchio della falce e martello che continua ad agitare ma l’alternativa a 50 anni d’immobilismo democristiano che la Cdl propone.
I valori di questa gente non sono che il potere, le clientele, gli appalti e le amicizie da onorare. Vogliamo uniformarci in queste persone? Il successo del centrodestra sta nell’aver dato agli italiani una alternativa convincente ai parassiti della prima repubblica e ai giustizialisti rossi. Quest’alternativa non condanna la vecchia classe politica nei tribunali ma nell’analisi storica dei risultati raggiunti dal punto di vista economico e sociale.
Lei presidente Berlusconi lamenta ogni volta la palla al piede del deficit causato dalle allegre finanze degli anni ottanta e poi che fa? Invita le mani bucate nella nostra casa?

Da Rifondazione lezione di buon senso ai “moderati” dell’Unione

Vi segnalo questa illuminante dichiarazione di Claudio Grassi, deputato di Rifondazione, raccolta dall’Ansa. Alla faccia di chi si riempie la bocca di moderatismo e accusa di estremismo che ha posizioni diverse dalla proprie.

GRASSI (PRC),PENOSA DIFESA UNIONE MAGGIORITARIO (ANSA) - ROMA, 13 OTT - ''Dal dibattito in corso in Parlamento sulla legge elettorale, emerge una Unione penosamente abbarbicata a difesa di un sistema elettorale, quello maggioritario, che si e' dimostrato fallimentare, antidemocratico e truffaldino''. Lo afferma Claudio Grassi, coordinatore dell'area dell'Ernesto, la principale componente di minoranza del Prc. ''Con l'attuale legge maggioritaria - ricorda Rifondazione Comunista con il 6% dei voti ha 14 eletti, l'Udc con il 3,2% oltre 70. Invece di denunciare questo scandalo, abbiamo ascoltato da parte di Prodi in piazza del Popolo e negli interventi dell'Unione alla Camera, sperticate lodi per il maggioritario, che andrebbe addirittura rafforzato''. Inoltre, per Grassi, ''sentire i segretari dei partiti di centrosinistra sostenere che bisogna respingere il proporzionale perche' in questo modo i candidati verrebbero decisi dalle segreterie dei partiti, fa cadere le braccia. Perche', adesso le candidature nei collegi sicuri le scelgono per caso i cittadini? Sono argomenti penosi''. ''Anche la sinistra alternativa, presente nell'Unione, ha perso un'occasione. Bisognava distinguersi da questa linea difensiva e filo-maggioritaria dei vari Rutelli, Prodi e D'Alema. Si poteva e si doveva - conclude Grassi - contrastare il progetto del Polo rilanciando contemporaneamente una proposta di legge elettorale proporzionale con sbarramento e senza premio di maggioranza''.

12 ottobre 2005

Prodi: l’uomo che ce la può fare

Conosco un uomo che ce la può fare. Era il pensiero che mi tormentava ieri notte quando distratto e assonnato dopo una giornata a caccia di franchi tiratori cercavo il plaid sotto le gambe da tirare su. Ma niente. La voce del profeta rinnegato in patria – leggi Enzo Biagi – mi martellava costringendomi a dare un occhio all’esordio di Chiambretti, all’intervista che avrebbe rivolto al “probabile” presidente del consiglio per la 15a legislatura dell’Italia repubblicana, sicuro che, lontano da Rai e Mediaset, l’uomo che ce la può fare avrebbe avuto modo di farcela a dare un’immagine degna delle sue aspirazioni. Ed invece chance persa ancora una volta dal mortadella-boy con Chiambretti disperato a dargli lezioni di comunicazione politica, ad invitarlo a non diventare la caricatura di sé stesso, bofonchiando, affogando la voce nei sospiri, prendendo sul serio anche le prese per il culo più palesi di Pierino, manco fosse una matricola appena reclutata in caserma. È quella Tv che ti diverte finquando non pensi che abbiamo bruciato così una presidenza di commissione Ue, con uno che farfuglia per convincerti come guidava l’Iri a 41 anni senza raccomandazione, che rifugge dal riaffermare il suo sì ai Pacs, che sbianca come una ottantenne bigotta quando gli ricordano le corna di Silvio a Madrid. Ha paura di tutto quest’uomo, di qualsiasi domanda che non siano applausi in piedi per ore, è la bruttissima copia di un sergente democristiano (ricordate il mitico sergente Garcia di Zorro?), che cercando di evitare la parola di troppo s’incarta da solo nella sua fumosità.
Illuminante l’ultima battuta quando sul rapporto tra Berlusconi e De Gasperi, sussurrava di aver letto che quest’ultimo confondeva milioni e miliardi e pertanto certamente non rubava. Speriamo Romano sia per questo che hai confuso la lira con l’euro quando ci hai regalato quel triste cambio, sarebbe una magra ma pur minima soddisfazione. Resta la realtà nell’epoca della politica interattiva di un candidato premier senza forza mediatica e allora capisci perché tutta l’aula di Strasbrugo si spellava le mani quando quest’uomo che ce la può fare alzava i tacchi dalla commissione Ue.           

11 ottobre 2005

Berlusconiadi/5: Tecniche di rimonta

L’affanno dell’opposizione tesa come se stesse lì lì per perder tutto il vantaggio accumulato in questi ultimi due anni è un buon segnale. Il centrodestra può in questo momento rilanciarsi con una politica lineare e compatta dentro le istituzioni e nell’opinione pubblica. Le carte su cui puntare sono numerose e su tutte il Polo ha il dovere di puntare senza trascurare alcun aspetto. I nodi da sciogliere sono innanzitutto in Parlamento. Alla Camera e al Senato la maggioranza può in questi mesi cruciali ribaltare la sensazione ancora troppo diffusa di una scarsa incisività dell’attività legislativa di questi anni. Risparmio, sistema elettorale, riforma costituzionale, sono i tre campi su cui dare battaglia per un approvazione non solo rapida ma efficace di questi provvedimenti. Insieme alle riforme delle pensioni, dell’istruzione e delle opere pubbliche si traccerebbe così un quadro completo di riforma delle basi del nostro Stato, ottimo punto di partenza per una campagna all’insegna del “dopo le fondamenta le mura maestre del rilancio”. Soltanto una continuità di governo può infatti valorizzare gli sforzi che il Paese, pur tra mille difficoltà, ha fatto in questi anni di congiunture internazionali critiche e di shock economici strutturali. La corsa da affrontare non è sull’opposizione ma sulla credibilità delle proprie competenze e dei propri obiettivi, sulla rivoluzione silenziosa che l’Italia sta compiendo dopo anni in cui le stanze dei bottoni si erano allontanate sempre di più dalla società. Questa classe dirigente deve mostrare la convinzione del salto di qualità realizzato dalla capacità di governo dell’ultima legislatura. Dopo i governi Berlusconi del 1994, Dini, Prodi e D’Alema il sistema politico italiano si va finalmente assestando su una stabilità sempre maggiore che permette agli elettori di individuare una squadra politica ben precisa, responsabile chiaramente nel bene e nel male dell’andamento sociale ed economico del Paese. Chi ribatte che i governi dc della prima repubblica, pur nella varietà dei protagonisti, avevano in fondo una intrinseca stabilità, mette in realtà in luce la debolezza più grave di quel sistema politico consistente proprio in quest’atteggiamento fumoso, subdolo, di tenere il potere senza assumersene la responsabilità.

06 ottobre 2005

Europa e libero mercato: per il Polo è ora di rompere con i tabù

Nuove forme di politica economica. È uno dei temi di fondo su cui il centrodestra e tutti i forum di riferimento dovrebbero confrontarsi cercando di andare oltre il fanatismo liberista che ormai segna il passo. Un’indicazione inequivocabile in tal senso sta arrivando dal nuovo corso di Giulio Tremonti a Via XX Settembre che, nei giorni successivi alla presentazione della finanziaria per il 2006, non ha mancato di rimarcare la necessità per la politica di dare alla società risposte più concrete e meno idealistiche. Emblematica in tal senso la scelta del ministro dell’Economia di aprire l’intervento al Senato di martedì scorso citando il presidente del Parlamento europeo Joseph Borell che, al congresso DS del 3 febbraio, sottolineava il bisogno di aprire la discussione su un nuovo approccio dei governi al “sogno europeo”.
Il discorso di Tremonti è l’indicazione di una via da seguire, una via che abbatte i tabù dell’Europa e del libero mercato, spingendo tutti, di qualsiasi colore politico, a mettere in discussione tutto e a confrontarsi con l’andamento globale dell’economia. Un andamento straordinario davanti al quale non si può continuare a dire ottusamente bisogna rispettare le regole, come se queste regole fossero il dettato di un nuovo vangelo laico che impedisce all’Europa di reagire al protezionismo altrui (vedi Usa) e al tempo steso ci vieta di porre alcun limite all’invasione selvaggia della Cina. L’Europa nacque nella mente dei padri fondatori per rendere questi paesi più forti, autorevoli e autonomi davanti a una realtà fatta di giganti che si muovevano sul palcoscenico sempre più piccolo del mondo. Se oggi, non solo in Italia, emergono timori sulle prospettive di una comunità sempre più ampia e sempre più unita, vuol dire che c’è qualcosa da rivedere in quel disegno. Deve farsi strada una volta per tutte l’idea che criticare una scelta di Bruxelles non significa essere anti-europeisti, così come deve essere possibile aprire il confronto sul controllo delle importazioni dalla Cina che, economicamente parlando, rappresenta una calamità davanti alla quale non difendersi vuol dire non assumersi la responsabilità di scelte nuove che sarebbero perfettamente in linea con la ragion d’essere dell’Unione europea. Nessuno crede seriamente di risolvere i problemi della nostra economia chiudendoci su noi stessi, la nostra produttività ha bisogno di essere innanzitutto rilanciata, ma chi storce il naso davanti all’eventualità di misure temporanee con le quali gestire la trasformazione della nostra economia non ha un’idea chiara la differenza che passa tra le teorie economiche e la politica economica.    

04 ottobre 2005

Tremonti ringhia e Anselmi piange

Dopo Massimo Franco e Massimo Giannini è toccato al direttore della Stampa, Giulio Anselmi, andare sulla graticola del rinato Giulio Tremonti. Cambia il salotto – da MATRIX a Porta a Porta – ma non cambia la capacità comunicativa del ministro dell’Economia che come un provetto political showman è sempre a proprio agio davanti telecamere e opinionisti difendendo punto per punto la qualità della manovra finanziaria appena varata dal governo. Nonostante ricopra la carica più delicata dell’esecutivo – e forse proprio per questo  – Tremonti dimostra di sapere far cadere tutta la scienza infusa di direttori ed editorialisti che, bravissimi con la penna a scaricare colpe e ad individuare strategie alternative di governo, sembrano diventare lupi dai denti di carta quando hanno la possibilità di dibattere con chi in questo momento mettono quotidianamente al centro delle polemiche interne. Così ieri molto più all’altezza del confronto sono apparsi i politici dell’opposizione Tiziano Treu e soprattutto Mercedes Bresso che pur non lesinando critiche di parte – ma è il suo mestiere – ha saputo tener viva  e interessante la discussione riconoscendo anche il buon senso di alcune novità di questa Finanziaria. Deludente invece Giulio Anselmi che serioso e ieratico ha ripetutamente proposto il suo sillogismo molto personale per il quale i tagli a regioni ed enti pubblici sarebbero sbagliati perché regioni ed enti pubblici – compresi alcuni di quelli guidati dal centrodestra – li rifiutano. L’obiezione è parsa talmente priva di spessore che il ministro non ha potuto fare a meno di definirla “francamente una domanda strampalata” mentre sullo sfondo la faccia ancora seriosa di Anselmi appariva a tutti sempre più ridicolmente seriosa. Fa specie come al vertice di un giornale così importante arrivi un giornalista così debole cui non resta che replicare: Tremonti è sempre Tremonti. Fa piacere invece ritrovare un Tremonti ringhioso davanti a questi confronti, mai a bocca asciutta come un vero politico di razza, senza peli sulla lingua nel definire “strampalata” la domanda di chi guida il quotidiano degli Agnelli. Continuo a pensare che con un ministro così bravo a riportare l’attenzione dei media sui contenuti della politica la Cdl possa giocare una carta importantissima.

29 settembre 2005

Regalo "bastardo" al mio presidente


Con un blog con questo titolo oggi dovrei far festa e augurare al presidente del Consiglio di perdere queste elezioni al più presto liberandosi di questa palla al piede della politica. Fossi in lui Tahiti già non avrebbe più segreti e le rotte dei Caraibi sarebbero la mia passeggiata quotidiana. Conserverò con tutto il mio pessimismo l’ingenuità di continuare a credere che quest’uomo non è lì per i suoi interessi. Forse è lì per ambizione ma non per i suoi affari che avrebbe gestito di gran lunga meglio e più serenamente controllando le stanze dei bottoni dall’esterno come fanno tutte le lobby più pesanti. Lo so questa è un’argomentazione usurata ormai. Ma non cerco apologie solo intendo esprimere la mia simpatia perché al mondo c’è ancora gente sufficientemente matta da rincorrere un’ideale, un’ambizione legittima che è in ognuno di noi e che muove le nostre vite: l’ammirazione degli altri. La mia signor presidente l’ha già tutta per aver dato al nostro paese per la prima volta la stabilità di un governo di legislatura che ha offerto, anche ai denigratori, un punto di riferimento in cui individuare il decisore politico di tutte le scelte dello stato. Il mio regalo da amico un po’ bastardo consentimi nel giorno del tuo genetliaco è una tranquilla cartolina dalla polinesia francese.

27 settembre 2005

SCETTICISMO PRIMARIO

L’entusiasmo per le primarie sta contagiando fortemente anche la blogsfera di centrodestra. Sull’onda del coinvolgimento democratico si sta perdendo la capacità di analizzare con calma l’opportunità di introdurre questo nuovo meccanismo di partecipazione popolare. Io, che delle primarie non sono un nemico, conservo tuttavia il mio scetticismo e sulle modalità che s’intendono utilizzare e sulla tempistica d’introduzione.
Innanzitutto non è vero che le primarie rappresentano senza alcun dubbio il miglior metodo di scelta del candidato premier neppure sotto il profilo del consenso che il candidato potrebbe raccogliere al momento del voto vero e proprio come insegnano le elezioni americane. Candidati con un programma molto simile possono danneggiarsi a vicenda a vantaggio di un terzo che invece ha un consenso complessivamente inferiore ed un programma molto lontano da entrambi.
La seconda osservazione concerne le molteplici differenze nell’assetto politico tra il nostro Paese e gli Usa, cui chiaramente chi esalta le primarie si ispira. Innanzitutto oltreoceano non esiste una struttura partitica come la nostra che, nel bene e nel male, rimpiazza la funzione svolta dai grandi elettori. Negli Stati Uniti del resto c’è una maggiore personalizzazione della politica che porta al far sparire ogni possibile influenza del candidato sconfitto sul governo, cosa che evidentemente non avverrebbe in Italia dove si cerca con le primarie anche e soprattutto un modo per misurare il diverso peso delle forze di coalizione. Ma c’è ancora un altro aspetto fondamentale. In America il rischio d’inquinamento dell’indicazione delle primarie è molto ridotto dalla partecipazione al voto dei soli iscritti al partito. Le primarie nostrane saranno invece aperte a tutti con la chiara controindicazione di veder gli elettori di una parte sostenere il candidato più debole della coalizione avversaria. Ciò che più mi sembra contraddittorio è però cercare nelle primarie uno strumento di legittimazione popolare che si ha già sufficientemente nelle elezioni vere e proprie dove la partecipazione è senz’altro più alta. In Italia l’idea di importare le primarie non è venuta per caso al centrosinistra che presenta una vera e propria anomalia dal momento che il candidato non è il leader del partito più forte della coalizione, Fassino, ma un illustre professore cui i compagni di strada già preparano sgambetti e ricatti di ogni sorta. Le primarie insomma sono per l’Unione una terapia straordinaria per una patologica mancanza di solidità di una leadership che, oltre ad essere discussa dagli stessi partiti, suscita lo scetticismo di gran parte degli elettori di centrosinistra. Il centrodestra non ha alcun bisogno di rincorrere l’opposizione su questa strada. Il meccanismo naturale di scelta del premier nel Polo potrebbe essere anzi validamente istituzionalizzato: vale a dire che il partito maggiore della coalizione vincente alle politiche esprime il presidente del Consiglio. Volendo continuare nei parallelismi, tanto abusati, bisogna considerare infine che negli Usa il premier uscente – ma lo stesso vale per governatori, senatori e rappresentanti in scadenza – non affronta in genere le primarie che rappresenterebbero una sconfessione del suo operato da parte del suo stesso partito. Il punto quindi è per Marco Follini o riconoscere di essere stato un cattivo collaboratore di governo o ammettere candidamente che Berlscuni gli sta sulle palle e che ciò è sufficiente a non volerlo lasciare a Palazzo Chigi.

Matrix, il pragmatismo di Tremonti e il politichese degli opinionisti

La partecipazione di Giulio Tremonti al nuovo programma di Enrico Mentana apre idealmente la campagna elettorale e mostra un Polo tutt’altro che rassegnato. Finalmente un rappresentante del governo affronta l’arena mediatica rispondendo punto su punto alle domande di Massimo Franco e Massimo Giannini.
Agli scenari catastrofici prospettati  dai due giornalisti – tra i più critici nei confronti di questo governo – Tremonti ha replicato riconoscendo le difficoltà e gli errori commessi dall’esecutivo ma rifiutando una condanna tout cour di questi anni di governo. Il ministro ha in particolare evidenziato la sostanziale tenuta del Paese, dell’assetto sociale, dei conti pubblici ricordando inoltre le importanti riforme del mercato del lavoro, delle pensioni e delle infrastrutture varate durante la legislatura. Franco e Giannini si sono ritrovati con le armi spuntate costretti a ricorrere ad obiezioni fuori tema come il trend elettorale negativo per il Polo, l’avvicendarsi di tre ministri a Via XX settembre, i tumulti all’interno della maggioranza palesando così la pochezza delle loro argomentazioni su contenuti, politica economica e riforme. Tremonti infatti è stato bravo a prendere atto degli errori del governo non cercando alibi nella pessima congiuntura internazionale che pure ha influito pesantemente sulle scelte fatte. Il ministro dell’Economia non si è nascosto dietro ad attenuanti di circostanza ha affrontato ogni obiezione con sicurezza e calma sfoggiando non solo competenza ma anche abilità politica. La strategia di comunicazione è stata perfetta il pubblico ha visto un ministro dell’Economia con i piedi per terra ma non a terra, convinto che il buon lavoro svolto in questi anni soprattutto in termini di riforme strutturali il cui rendimento sarà apprezzabile soltanto fra qualche anno. Di fronte invece giornalisti schierati e poco preparati a sfruttare al meglio l’occasione ricorrendo ad un approccio poco credibile. Se si vuole discutere anche in modo molto critico di questo governo non si può partire da una condanna totale di tutto l’operato. Per influire sull’elettorato di mezzo sarebbe stato molto più efficace a livello mediatico chiamare il ministro a rispondere di precise mancanze del governo su temi specifici ma in fondo è meglio così, se queste sono le premesse, se questo è lo stile che politici e profeti dell’opposizione intendono utilizzare, il Polo ha ancora ottime chances.

24 settembre 2005

Fini VS Casini = Serietà VS Vanità

Le differenti reazioni di Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini all’apertura del Polo sulle primarie palesa lo spessore politico e l’affidabilità dei due personaggi. Il presidente della Camera, come uno scolaretto invitato a fare il rappresentante di classe, dinanzi alla prospettiva di candidarsi contro Berlusconi davanti alla telecamere ha malcelato dietro un sorriso la vanità che gli è propria e attorno alla quale si è costruito questa immagine di uomo delle istituzioni autorevole. Fini, da politico avvezzo a rispondere con argomentazioni solide al proprio elettorato, ha sottolineato soltanto l’importanza di discutere della premiership escludendo l’eventualità di una sua candidatura alle primarie che ritiene sfacciatamente incoerente col sostegno dato a Berlusconi in questi anni. Qualcuno osserverà che forse Fini è solo più furbo, forse è vero. Ma nella politica attuale lo stile di certe dichiarazioni pesa come un macigno sul consenso popolare. È chiaro che il ministro degli Esteri accetterà di mettersi in gioco soltanto con il sostegno di Berlusconi e mai contro di lui.
L’Italia non presenta ancora a mio avviso un contesto adatto per realizzare primarie serie. Abbiamo un tessuto politicamente partitico ed è naturale che chi guida il partito più forte guidi la coalizione. L’anomalia è Prodi, la sua candidatura malvista dall’elettorato di sinistra e dallo stessa Margherita nata intorno a lui. La Cdl non dovrebbe rincorrere l’Unione in questa tragicommedia delle primarie all’italiana. Il Polo è nato e cresciuto intorno alla figura di Silvio Berlusconi e lui soltanto può proporre un eventuale nuovo leader agli elettori di centrodestra.

23 settembre 2005

L’economia liberale di Tremonti

Non credo sia esatto dire, come scrive oggi Henry, che con la scelta di Tremonti il governo si allontana da un economia liberale. Innanzitutto bisognerebbe capire cosa s’intende per economia liberale. La storia economica dimostra che ormai certe categorie sono obsolete, insufficienti a riassumere un approccio unico e inequivocabile. Gli Usa, che vengono giustamente considerati leader nella promozione del libero mercato, non hanno lesinato misure protezionistiche ai danni dell’Ue (il cosiddetto zeroing su cui peraltro Bruxelles ha aperto un’inchiesta) sui mercati dell’acciaio, della chimica e degli alimentari. Attualmente le stesse misure sono attuate in parte nei confronti della Cina senza che questo sollevi alcuno scandalo. Questo significa che gli Usa non hanno un’economia liberale? Non credo al massimo si può convenire sul fatto che il liberismo puro e non il liberalismo politico non sia più così attuale(. Piuttosto uno stato liberale è pronto a considerare le diverse opzioni percorribili di fronte ai differenti scenari economici che possono aprirsi. La crescita straordinaria di Cina ed India nel nostro caso richiede interventi straordinari di difesa legittima della nostra economia non per avere un profitto sempre maggiore ma per salvaguardare la nostra stabilità interna in un momento di trasformazione dell’economia globale. Se poi vogliamo dirla tutta perché l’Italia dovrebbe attenersi a queste regole del libero mercato e la Cina non dovrebbe fare altrettanto sul rispetto dei diritti umani? Come dissi in un interessante dibattito aperto sul IlCastello francamente non credo che misure mercantilistiche possano risolvere i nostri problemi economici fosse solo perché la forza dei cinesi è il loro mercato interno, arma diabolica in un contesto scarsamente democratico come il loro. Resta il fatto che in un momento in cui il nostro Paese rappresenta il competitor più debole perché dotato di una struttura imprenditoriale basata su manufatti di livello tecnologico medio basso, dal tessile agli elettrodomestici proteggerci è doveroso per chi governa considerare tutti i possibili interventi.

22 settembre 2005

Berlusconi abbatte Fazio

Due piccioni con una conferenza stampa. Forse la sveglia è finalmente arrivata. In conferenza stampa Berlusconi presenta Tremonti 2 e silura Fazio. Era ora! Unico neo al FMI faremo la nostra ennesima “bella figura”.

Con Tremonti l'economia ritorna alla politica

Il ritorno di Tremonti va salutato come un cambio di rotta non da poco, la politica vera del centrodestra torna nel dicastero più importante. Ora sono curioso di vedere come Giulio si muoverà. Da un lato i suoi avversari di sempre avranno meno argomentazioni contro di lui – visto che l’hanno rimpiazzato con un impiastro – dall’altro mi aspetto dal nuovo ministro la carica propria di chi viene richiamato a dar nuova linfa ad un progetto dal quale era stato, non tanto garbatamente, allontanato. Che questa telenovela del ministero dell’Economia serva da lezione a chi s’illude di trovare nei professori senza coglioni la soluzione dei nostri problemi! Perché il rientro di Tremonti è una bella notizia di sicuro ma adesso come lo spieghiamo dopo averlo fatto fuori poco più di un anno fa? Infortunio all’adduttore destro?

RITORNA TREMONTI

“Cambiare tutto per non cambiare nulla”. Tremonti ritorna a Via XX settembre. Ottima scelta davvero solo mi chiedo: quindi in quest’ultimo anno il governo ha sbagliato tutto!!!

Siniscalco: quando scegliere la squadra fa la differenza

Il passo indietro di Siniscalco puzza tanto. Fazio, la finanziaria, le motivazioni del ministro dimissionario paiono solidissime ma quale ministro dell’Economia non ne avrebbe sempre a disposizione? Con quale senso di responsabilità abbandonare la carica ad 8 giorni dalla presentazione della legge più importante dello stato in un momento così delicato? La responsabilità forse che è propria ad un “ministro tecnico” e su questo Silvio dovrebbe riflettere.
Le dimissioni del superministro dell’Economia sono un colpo durissimo per la maggioranza ed anche chi come me ha sempre ritenuto non fosse ancora tardi per suonare la carica è sconfortato. Le file degli astensionisti si allargheranno ulteriormente. Tra le capacità fondamentali di un leader di governo vi è quella di riuscire a scegliere, pur tra le mille spinte dei partiti, i collaboratori giusti, competenti e fidati. Siniscalco lo è stato? Non credo. L’ormai ex-titolare di Via XX Settembre non ha mai dato al governo quella immagine di forza e di convinzione che si richiede ad un ministro dell’Economia, non ha mai dato a nessuno della maggioranza la sensazione di essere senza dubbio uno dei nostri. Siniscalco è rimasto in questi mesi un ministro tecnico in un governo politico. Le sua mancanze sono legate alla sua estrazione dai vertici della burocrazia di palazzo eppure dovrebbe essere ormai chiaro il rischio che si corre reclutando nell’esecutivo un personaggio che non ha fatto campagna elettorale. Quello che ho sempre rimproverato a Siniscalco è stato lo scetticismo che sempre trapelava nei suoi interventi pubblici in merito alle misure che lui stesso concordava con i vertici della maggioranza. Come si può dare coraggio all’economia nazionale se il suo responsabile politico non mostra entusiasmo, fiducia, voglia di rivalsa. Siniscalco è un professore si dirà. Allora lasciamoli a casa questi professori che già hanno rotto troppo nelle aule universitarie. Lasciamo che coltivino il loro moderatismo nei senati accademici che hanno contribuito ad ammuffire le menti di questo Paese.

SINISCALCO VA VIA…FAZIO RESTA

Silvio gli “attributi” dove sono?

20 settembre 2005

Ruini&Pacs: due libertà da garantire

Sono da tempo favorevole ai Pacs convinto che il riconoscimento di questa libertà non limiti il diritto degli altri cittadini. Al tempo stesso però non riesco a considerare un’indebita ingerenza i richiami dei rappresentanti della Chiesa ad una conservazione dello status quo in regime di unioni. Signori questo è lo stato liberale! Ognuno manifesta le proprie idee, la propria visione del mondo e gli altri sono liberi di ascoltarla, criticarla o seguirla. Mi si dirà il Concordato! Ma il concordato vieta l’ingerenza del Vaticano non la partecipazione di cittadini cattolici alla vita pubblica, ci mancherebbe altro! Camillo Ruini per lo Stato italiano, prima di qualsiasi eccellenza, è un cittadino con il diritto ad esprimersi secondo il proprio credo, le proprie idee su come mandare avanti la nostra Italia che è un po’ anche il suo Paese. È strambo come in un epoca in cui ai vertici dei governi giungono istanze di ogni tipo, molto spesso in modo oscuro e sotto la spinta di pressioni poco nobili, si sia ancora così ingenui da spaventarsi della lobby cattolica. Eppure non mi sembra sia vietato ai rappresentanti di associazioni come i sindacati o la confindustria esprimere le proprie divergenze rispetto ad una scelta politica. È un paradosso? Forse ma consideriamo che questi esponenti non hanno alcuna legittimazione popolare e rappresentano gli interessi di una parte a volte molto ristretta della società, strutturati tra l’altro in organizzazioni che - a dispetto della sempre invocata Costituzione - non si sono mai costituiti come persone giuridiche. Come le associazioni anche la Chiesa mi sembra rappresenti una ruota importante del vivere civile di questo Paese. E poi anticlericali ante-litteram scusatemi ma perché anziché contestare le legittimità degli interventi dei monsignori non accettate la diatriba e argomentate le vostre tesi ribattendo punto per punto quelle cattoliche? Sappiate che mi troverete dalla vostra parte.

19 settembre 2005

Il peso della politica internazionale sull’incognita elezioni

Il segnale più importante che arriva dal voto tedesco non riguarda il sistema elettorale ma la sempre minore attendibilità dei sondaggi politici. Negli ultimi anni le previsioni sulle elezioni politiche in diversi paesi hanno infilato una serie impressionante di flop che induce quasi a pensare ad un effetto boomerang di certe analisi pre-elettorali. Ovunque sì è andati incontro ad esiti inattesi e a volte le previsioni precedenti di un anno la chiamata alle urne sono state completamente capovolte come negli USA o in Germania. Ma casi simili si erano già verificati in Spagna, con la vittoria a sorpresa di Zapatero, e in Francia con Le Pen al ballottaggio e l’imprevista bocciatura della costituzione europea al referendum. Anche in una realtà così lontana come quella giapponese i malaugurati sondaggi hanno finito per portar bene al primo ministro Koizumi che aveva scelto la via voto per ottenere il sostegno popolare alle sue spinte riformiste.  Il moltiplicarsi dei casi impone un’analisi che cerchi di spiegare l’inaffidabilità dei sondaggi. Sembra un paradosso più si va avanti, più il progresso scientifico risulta inefficiente a  sondare come ragioniamo di fronte alle scelte politiche. Certamente dietro il ripetersi di certe defaiance delle indagini pre-elettorali in contesti così diversi c’è l’incertezza diffusa della popolazione di un Occidente che si sente sempre più inerme di fronte alle sfide del presente. La globalizzazione sta rendendo il pianeta sempre più piccolo, le interazioni tra un paese e l’altro sono sempre più frequenti e i grandi temi di politica internazionali spostano di continuo il consenso da una parte all’altra. Accanto al terrorismo di matrice islamica molti altri nodi contribuiscono ad influenzare la politica interna dei nostri paesi il tasso impressionante di crescita di Cina ed India, i processi di aggregazione internazionali tra i diversi stati, l’equilibrio ambientale mondiale, la povertà nel terzo mondo. Sempre più queste problematiche sono in grado d’influenzare l’elettorato spingendo in particolare le sempre larghe fasce di astensionisti a prendere posizione. La molla in genere è la paura ora di difendere la propria nazione (guerra preventiva), ora la sovranità nazionale (no a costituzione europea), ora la propria economia (sì a politiche protezionistiche). Anche in Italia le vicende internazionali ed europee in particolare avranno un peso determinante nella tornata elettorale della prossima primavera e probabilmente buona parte della partita per Palazzo Chigi i candidati premier se la giocheranno su politiche europee (euro, costituzione e allargamento) e rapporto con gli Usa. Credo come molti che l’esito di queste elezioni, così importanti per il destino del nostro Paese, non sia ancora stato deciso, sbaglia chi nel Polo continua a recitare il de profundis del saccente rassegnato. La Cdl ha ottime carte ancora da giocare ma, per farlo fino in fondo, deve mettere in soffitta le cassandre di turno e puntare tutto su una comunicazione convinta dei buoni risultati raggiunti, della tenuta sostanziale della nazione in un epoca di stravolgimenti internazionali, della spinta che nonostante tutto il governo ha saputo dare con l’apertura di cantieri, le sovvenzioni per l’innovazione, la riforma del mercato del lavoro. Se Follini vuol continuare a piangere si accomodi fuori, non può convincere gli altri chi non è convinto del lavoro che ha svolto e sostenuto per sei anni.

La lezione tedesca non boccia “il proporzionale”

Le elezioni tedesche senza né vincitori né vinti hanno inevitabilmente inciso sul dibattito in corso in Italia su un modifica in senso proporzionale del nostro sistema elettorale. Un parallelismo come sempre è possibile ma con gli opportuni distinguo senza voler a tutti costi leggere nel voto in Germania una bocciatura senza appello dell’apertura al proporzionale in Italia come lascia intendere Mario Sechi. A ben guardare infatti le elezioni tedesche sono un ottima riprova delle peculiarità che dovrebbero accompagnare un nuovo proporzionale italiano. L’incertezza tedesca ha una sola causa l’assenza del premio di maggioranza che nelle nostre elezioni regionali si realizza attraverso il listino del candidato governatore. Lo ha chiarito molto bene anche Clemente Mastella in un’intervista comparsa oggi su Affari Italiani col quale una volta tanto sono d’accordo. Certo quasi d’accordo! Se non fosse che il mastellone resta contrario allo sbarramento che impedirebbe al suo Campanile i continui giochini di poltrone con i quali in Campania tiene in scacco di continuo Bassolino, ovviamente!

16 settembre 2005

Multipartitismo: come uscirne

Multipartitismo this is the question. Lo ha centrato molto bene Watergate palesando l’inutilità di rincorrere un sistema elettorale piuttosto che un altro per risolvere il problema della instabilità del nostro Paese attraverso. Come ho già scritto – precedente post – “non sono i sistemi elettorali a plasmare lo scenario partitico di una società” e per superare la nostra tradizionale frammentazione partitica ci vuole ben altro. Innanzitutto sia chiara una cosa. Buona parte dei partiti che stanno ingolfando il nostro sistema democratico non nascono su nuovi ideali da perseguire ma dall’aggregazione di interessi “molto particolari” che cercano di avere più voce nel contesto politico decisionale. Il multipartitismo perverso che va combattuto è in tal senso quel fenomeno che vede nascere ad ogni tornata elettorale partiti con un bacino elettorale in genere molto localizzato incentrati su una o due figure di politici spesso fuoriusciti da un partito più grande grazie al quale sono riusciti a crearsi una rete clientelare sufficiente a tener in piedi il loro nuovo movimento. In Campania il fenomeno è particolarmente frequente. È in questo modo che Mastella ha costruito il suo Campanile ed è così che nascono insignificanti movimenti anche nelle assemblee regionali che stanno diventando sempre più cruciali snodi di assegnazione di appalti e attribuzioni di incarichi. Lungi dal ridurre questo meccanismo, il Mattarellum lo ha alimentato ancora di più perché i collegi uninominali sono diventati né più ne meno che la proiezione del feudo del potente locale. Il multipartitismo ha così preso il sopravvento sulla partitocrazia. Da un sistema malato dall’ingerenza dei vertici dei partiti nazionali siamo passati ad un altro dove alle grandi segreterie si sono affiancati i vari Lombardo, Rotondi, Mastella cui vanno aggiunti tutti quei visir locali che i partiti si guardano bene da metter fuori per il serbatoio di voti che alimentano. Come uscire da questo meccanismo? Il voto di scambio si regge sui piccoli numeri. Per quanto forte un partito che nasce come distributore di interessi personali anche a livello regionale non supera certe percentuali quindi il sistema proporzionale con sbarramento al 4-5 % sarebbe un primo passo per non lasciare le grandi coalizioni sotto il ricatto di certi movimenti. Ma il nuovo sistema elettorale basterebbe a liberarci della frammentazione eccessiva? Forse. Tutto dipende dalla capacità di attuare la riforma costituzionale. Da qui dovrebbero arrivare i supporti utili a dare un nuovo assetto al panorama politico italiano come il rafforzamento delle prerogative del premier, col conseguente vincolo più forte tra eletti e coalizione, e la riduzione dei parlamentari per chiudere sempre più gli spazi di manovra ai piccoli mercanti di voti. Resteranno i grandi soltanto a mercanteggiare dirà qualcuno. Vero. Ma la politica sarà sempre veicolo d’interessi ed un rapporto palazzo/affari più concentrato diventerà tuttavia per forza di cose più trasparente specialmente se – come scrissi in un altro post –  si mettesse mano ad una seria normativa sul lobby.

15 settembre 2005

"Casini" proporzionali e proporzionale costituzionale

Dopo un coro di critiche emozionali mi sembra vadano aumentando nella blogsfera coloro che sono pronti a valutare l’apertura al proporzionale della maggioranza. Chi conosce i sistemi elettorali sa bene che non esiste un sistema assolutamente migliore dell’altro e che lo strumento andrebbe adattato alla realtà sociopolitica di ogni Paese. Ora prescindendo da dove questa nuova proposta della Cdl ci porterà un fatto è certo: l’attuale Mattarellum mal si adatta al contesto italiano perché è un sistema spurio ma anche perché appare catapultato su una realtà che non riuscirà mai a stabilizzarsi su un bipartitismo perfetto. Non sono i sistemi elettorali a plasmare lo scenario partitico di una società. Il campanilismo esasperato tipicamente italiano non ci porterà mai a due soggetti compatti e contrapposti, cosa che del resto avviene soltanto nel mondo anglosassone e non in Europa. Ancora una cosa rivolta a chi utilizza la Costituzione ad ogni piè sospinto per bloccare ogni riforma dello Stato. Ebbene i nostri padri costituenti scelsero il proporzionale come sistema elettorale prevedendo opportuni correttivi che assicurassero anche una stabilità governativa ma che poi non furono mai introdotti. Insomma anche al proporzionale come al maggioritario non è stata data la possibilità di esprimersi al meglio nonostante i 40 anni di applicazione! Un appello finale: SILVIO TORNA PRESTO CHE SIAMO INCASINATI DI BRUTTO!!!

SBARRATE FOLLINI PER FAVORE!

Ma Follini che ha nella testa? Cosa c’è di male nella richiesta di Gianfranco Fini favorevole a varare prima la riforma costituzionale e poi la modifica alla legge elettorale? Punto primo: la riforma costituzionale oltre ad introdurre dosi di federalismo le bilancia con una svolta in senso presidenzialista con un aumento delle prerogative del presidente del consiglio e questa è una battaglia direi antica dai tempi del Msi. Punto secondo: questa reazione fa dubitare ancora una volta del sostegno Udc alle riforme che se saltassero provocherebbero innanzitutto l’ira della Lega e buonanotte Cdl. Punto terzo: come credere alla buona fede di questi centristi del cavolo se all’indomani di una convergenza della maggioranza su una loro proposta cominciano a menar fendenti? Se si mette in discussione lo sbarramento si torna veramente alla prima repubblica!!!

14 settembre 2005

PROPORZIONALE:liste bloccate della discordia

Sulla scorta delle obiezioni sollevate da Walker vorrei puntualizzare alcune cose su queste benedette liste bloccate. Punto primo: mi spiace ma non colgo le differenze tra le liste bloccate ed i collegi uninominali dove comunque sono i vertici dei partiti che scelgono i candidati. Il diritto di non voto è l'unico antidoto in entrambi i casi salvo comunque  favorire indirettamente chi ti hanno imposto ma c’è una differenza di non poco conto. L’emendamento depositato prevede il 50% delle liste bloccate mentre il restante resterebbe attribuibile con le liste di preferenza quindi uno spiraglio dovrebbe esserci. Faccio notare comunque che per quanto possa non piacere le liste bloccate, come pure i collegi uninominali, “dovrebbero” permettere al candidato premier di avere dei sostenitori fidati in parlamento e la cosa in ottica bipolare e presidenzialista francamente non mi sembra neppure così sballata o antidemocratica visto che si sceglie il premier prima che il parlamentare. Resto dell’avviso tuttavia che bisogna aspettare per emettere giudizi così netti. Del discorso morale francamente non m’interessa un fico secco. Abbiamo già dato troppe possibilità a questa opposizione e non mi sembra ce ne sia venuto un gran bene.

IL PROPORZIONALE GRANDE OPPORTUNITA’

Non riesco a condividere tutto il pessimismo che si fa diffondendo in Tocque-Ville per la spinta proporzionalista del centrodestra. Ci sono degli aspetti molto positivi invece che, come scrivevo ieri ad emendamento depositato, potrebbero essere un buon viatico per un rilancio della coalizione.
1°. L’accordo sulla legge elettorale ha rinsaldato l’alleanza al suo interno, elemento basilare per ripartire col nuovo progetto di governo.
2°. Il proporzionale non comprometterà il bipolarismo che sta a cuore a tutti grazie allo sbarramento che impedirà la frammentazione eccessiva della rappresentanza parlamentare. Non solo. Con uno sbarramento al 4% se non al 5% su scala nazionale e del 12% circa nelle circoscrizioni  - per salvaguardare le rappresentanze delle minoranze forti solo su chiave locale – il bipolarismo ne uscirebbe rafforzato, tagliando fuori movimenti insignificanti come l’Udeur o la Dc di Rotondi che si nutrono di voti essenzialmente clientelari, LO DICO DA CAMPANO!!!
3°. Il proporzionale se ben applicato risolverà anche le diatribe interne alle coalizioni poiché darà ad ogni forza il numero di rappresentanti corrispondenti ai propri elettori. Insomma a ciascuno il suo! L’Udc è avvertito.