29 settembre 2005

Regalo "bastardo" al mio presidente


Con un blog con questo titolo oggi dovrei far festa e augurare al presidente del Consiglio di perdere queste elezioni al più presto liberandosi di questa palla al piede della politica. Fossi in lui Tahiti già non avrebbe più segreti e le rotte dei Caraibi sarebbero la mia passeggiata quotidiana. Conserverò con tutto il mio pessimismo l’ingenuità di continuare a credere che quest’uomo non è lì per i suoi interessi. Forse è lì per ambizione ma non per i suoi affari che avrebbe gestito di gran lunga meglio e più serenamente controllando le stanze dei bottoni dall’esterno come fanno tutte le lobby più pesanti. Lo so questa è un’argomentazione usurata ormai. Ma non cerco apologie solo intendo esprimere la mia simpatia perché al mondo c’è ancora gente sufficientemente matta da rincorrere un’ideale, un’ambizione legittima che è in ognuno di noi e che muove le nostre vite: l’ammirazione degli altri. La mia signor presidente l’ha già tutta per aver dato al nostro paese per la prima volta la stabilità di un governo di legislatura che ha offerto, anche ai denigratori, un punto di riferimento in cui individuare il decisore politico di tutte le scelte dello stato. Il mio regalo da amico un po’ bastardo consentimi nel giorno del tuo genetliaco è una tranquilla cartolina dalla polinesia francese.

27 settembre 2005

SCETTICISMO PRIMARIO

L’entusiasmo per le primarie sta contagiando fortemente anche la blogsfera di centrodestra. Sull’onda del coinvolgimento democratico si sta perdendo la capacità di analizzare con calma l’opportunità di introdurre questo nuovo meccanismo di partecipazione popolare. Io, che delle primarie non sono un nemico, conservo tuttavia il mio scetticismo e sulle modalità che s’intendono utilizzare e sulla tempistica d’introduzione.
Innanzitutto non è vero che le primarie rappresentano senza alcun dubbio il miglior metodo di scelta del candidato premier neppure sotto il profilo del consenso che il candidato potrebbe raccogliere al momento del voto vero e proprio come insegnano le elezioni americane. Candidati con un programma molto simile possono danneggiarsi a vicenda a vantaggio di un terzo che invece ha un consenso complessivamente inferiore ed un programma molto lontano da entrambi.
La seconda osservazione concerne le molteplici differenze nell’assetto politico tra il nostro Paese e gli Usa, cui chiaramente chi esalta le primarie si ispira. Innanzitutto oltreoceano non esiste una struttura partitica come la nostra che, nel bene e nel male, rimpiazza la funzione svolta dai grandi elettori. Negli Stati Uniti del resto c’è una maggiore personalizzazione della politica che porta al far sparire ogni possibile influenza del candidato sconfitto sul governo, cosa che evidentemente non avverrebbe in Italia dove si cerca con le primarie anche e soprattutto un modo per misurare il diverso peso delle forze di coalizione. Ma c’è ancora un altro aspetto fondamentale. In America il rischio d’inquinamento dell’indicazione delle primarie è molto ridotto dalla partecipazione al voto dei soli iscritti al partito. Le primarie nostrane saranno invece aperte a tutti con la chiara controindicazione di veder gli elettori di una parte sostenere il candidato più debole della coalizione avversaria. Ciò che più mi sembra contraddittorio è però cercare nelle primarie uno strumento di legittimazione popolare che si ha già sufficientemente nelle elezioni vere e proprie dove la partecipazione è senz’altro più alta. In Italia l’idea di importare le primarie non è venuta per caso al centrosinistra che presenta una vera e propria anomalia dal momento che il candidato non è il leader del partito più forte della coalizione, Fassino, ma un illustre professore cui i compagni di strada già preparano sgambetti e ricatti di ogni sorta. Le primarie insomma sono per l’Unione una terapia straordinaria per una patologica mancanza di solidità di una leadership che, oltre ad essere discussa dagli stessi partiti, suscita lo scetticismo di gran parte degli elettori di centrosinistra. Il centrodestra non ha alcun bisogno di rincorrere l’opposizione su questa strada. Il meccanismo naturale di scelta del premier nel Polo potrebbe essere anzi validamente istituzionalizzato: vale a dire che il partito maggiore della coalizione vincente alle politiche esprime il presidente del Consiglio. Volendo continuare nei parallelismi, tanto abusati, bisogna considerare infine che negli Usa il premier uscente – ma lo stesso vale per governatori, senatori e rappresentanti in scadenza – non affronta in genere le primarie che rappresenterebbero una sconfessione del suo operato da parte del suo stesso partito. Il punto quindi è per Marco Follini o riconoscere di essere stato un cattivo collaboratore di governo o ammettere candidamente che Berlscuni gli sta sulle palle e che ciò è sufficiente a non volerlo lasciare a Palazzo Chigi.

Matrix, il pragmatismo di Tremonti e il politichese degli opinionisti

La partecipazione di Giulio Tremonti al nuovo programma di Enrico Mentana apre idealmente la campagna elettorale e mostra un Polo tutt’altro che rassegnato. Finalmente un rappresentante del governo affronta l’arena mediatica rispondendo punto su punto alle domande di Massimo Franco e Massimo Giannini.
Agli scenari catastrofici prospettati  dai due giornalisti – tra i più critici nei confronti di questo governo – Tremonti ha replicato riconoscendo le difficoltà e gli errori commessi dall’esecutivo ma rifiutando una condanna tout cour di questi anni di governo. Il ministro ha in particolare evidenziato la sostanziale tenuta del Paese, dell’assetto sociale, dei conti pubblici ricordando inoltre le importanti riforme del mercato del lavoro, delle pensioni e delle infrastrutture varate durante la legislatura. Franco e Giannini si sono ritrovati con le armi spuntate costretti a ricorrere ad obiezioni fuori tema come il trend elettorale negativo per il Polo, l’avvicendarsi di tre ministri a Via XX settembre, i tumulti all’interno della maggioranza palesando così la pochezza delle loro argomentazioni su contenuti, politica economica e riforme. Tremonti infatti è stato bravo a prendere atto degli errori del governo non cercando alibi nella pessima congiuntura internazionale che pure ha influito pesantemente sulle scelte fatte. Il ministro dell’Economia non si è nascosto dietro ad attenuanti di circostanza ha affrontato ogni obiezione con sicurezza e calma sfoggiando non solo competenza ma anche abilità politica. La strategia di comunicazione è stata perfetta il pubblico ha visto un ministro dell’Economia con i piedi per terra ma non a terra, convinto che il buon lavoro svolto in questi anni soprattutto in termini di riforme strutturali il cui rendimento sarà apprezzabile soltanto fra qualche anno. Di fronte invece giornalisti schierati e poco preparati a sfruttare al meglio l’occasione ricorrendo ad un approccio poco credibile. Se si vuole discutere anche in modo molto critico di questo governo non si può partire da una condanna totale di tutto l’operato. Per influire sull’elettorato di mezzo sarebbe stato molto più efficace a livello mediatico chiamare il ministro a rispondere di precise mancanze del governo su temi specifici ma in fondo è meglio così, se queste sono le premesse, se questo è lo stile che politici e profeti dell’opposizione intendono utilizzare, il Polo ha ancora ottime chances.