03 maggio 2006
Silvio lascia ma il berlusconismo è più forte di prima
Silvio Berlusconi lascia Palazzo Chigi e la sua uscita è immediatamente ripresa da tutti i media del mondo. Ma qual è il vero significato di questa svolta per l’Italia? Davvero si chiude l’era berlusconiana? La sconfitta elettorale rappresenta una tappa storicamente importante per la politica liberale del nostro Paese e resta al di là di ogni pur ragionevole distinguo un evento negativo. La foto del premier affacciato su Piazza Colonna – che ahimè non riesco più a trovare – è più eloquente di mille editoriali. Ciò che pesa sull’orgoglio dell’uomo Berlusconi più che la sconfitta in sè è l’archiviazione di un progetto in cui il premier credeva fortemente e che proprio ora cominciava a dare i frutti migliori, il rilancio dell’Italia. Lo sconforto è quindi una reazione comprensibile che però ora chiama tutto il centrodestra ad uno sforzo ancora più grande, andare oltre il 9 aprile, rinsaldare la fiducia del 49% degli elettori, consolidare l’alleanza liberale. I rischi in questo momento restano ancora tanti. Da un lato il Polo dovrà dare prova di coesione nell’opposizione parlamentare, dall’altro dovrà offrire agli italiani un riferimento politico rigenerato più che negli obiettivi nei protagonisti. Tutto dovrà girare intorno al rafforzamento di una visione politica opposta a quella dell’Unione, portata più all’obiettivo che al consociativismo. Romano Prodi lo ha detto più volte: vogliamo unire un Paese diviso. Eppure il Paese prima che politicamente è diviso su un approccio diverso alla società che la nuova epoca c’impone. Chi ha sostenuto la Cdl lo ha fatto in gran parte nella convinzione di una probabile sconfitta, manifestando così la volontà di tener fermo il senso di marcia della coalizione di centrodestra orientato al superamento di un vecchio modo d’intendere la politica e le istituzioni. In questo senso davvero al di là dell’esito negativo le ultime politiche segnano una vittoria di quell’Italia silenziosa e lavoratrice su quell’Italia piagnona e chiassosa amplificata ogni giorno dalla gran parte della stampa nazionale. L’elettorato di centrodestra ha trovato finalmente nel Paese una propria identità che lo rende in qualche modo più simile all’elettorato di centrosinistra col vantaggio però di conservare uno spirito critico nei confronti dei propri referenti politici più spiccato. L’elezioni hanno confermato che l’elettorato mobile è meno influente dell’elettorato dormiente e che l’elettorato dormiente quando si muove lo fa in gran parte a favore dei moderati. Se dovessi scegliere direi che il merito più grande di Silvio Berlusconi è stato quello di creare e consolidare una forza politica veramente nuova nelle aspirazioni e nel linguaggio. Da qui è necessario partire e Silvio Berlusconi resta in tal senso un punto imprescindibile. Seppure a malincuore bisogna riuscire a ragionare su un nuovo ruolo che non sarà più a questo punto di aspirante primo ministro per i moderati ma di ispiratore di questa coalizione in qualità di fondatore. Tutte le chiacchiere sulla flessione di Forza Italia e sulla crescita dell’Udc e di An hanno un peso estremamente relativo e vanno sempre viste in un'ottica di coalizione. Se il tracollo annunciato non c’è stato è stato insomma grazie al governo presieduto da Silvio Berlusconi e alla sua capacità di galvanizzare nuovamente gli italiani con tre mesi eccezionali di campagna elettorale. Chi sentenzia di percentuali senza rimarcare questo dato fondamentale interpreta il particolare tralasciando la chiave di lettura più importante. La fine del governo consegna insomma il Berlusconi primo ministro alla storia ma al tempo stesso – grazie alla solidità elettorale del Polo – apre prospettive notevoli al berlusconismo. Ora tocca ai berluscones camminare con le proprie gambe mettendo da parte stupide rivalità interne e accordandosi intorno ad un unico parametro di riferimento: la concretezza e la chiarezza del governo migliore nella storia della repubblica italiana.
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