La strage del 7/7 sta sigillando sempre più nel centrodestra le porte del dialogo col mondo arabo-islamico. Eppure una cultura dichiaratamente moderata non dovrebbe chiudere mai gli spazi al confronto con l’altro. Se è vero, oltre che ovvio infatti che con i terroristi non si aprono trattative, è altrettanto vero che un’apertura maggiore da parte della nostra società ai problemi che affliggono le popolazioni del vicino e medio oriente resta nel lungo periodo la strategia migliore per evitare di allargare indirettamente le schiere del fronte dell’integralismo violente e carnefice. Su questo campo invece la Cdl sta lasciando alla sinistra terreno libero per promuoversi come unica forza in grado di parlare col mondo musulmano. Passi che questo accada a livello politico ma anche sul terreno intellettuale sono ancora troppo poche le voci che sottolineano l’importanza di accompagnare alle strategie antiterrorismo, ai piani di peace keeping, agli aiuti economici anche un dialogo interculturale che invece centrerebbe il punto nevralgico della crisi Occidente-Islam. Ormai chi nel centrodestra cerca di capire, di avvicinarsi alle radici del Terrore islamico viene tacciato immediatamente di filo-islamismo o di anti-americanismo. L’ultimo editoriale della Fallace è una volta di più il trionfo della rottura, il gaudio del divario che dovrebbe allargarsi sempre di più. Perché secondo la nostra profeta in patria altrui l’Europa, da sempre terra di scontro sì ma anche di fusioni tra i popoli, dovrebbe diventare la riserva dell’uomo bianco ormai troppo buono per confrontarsi con i “cattivi musulmani”. Eppure qui non si tratta di alzare steccati.
Difendersi è importante e i governi – di destra, centro o sinistra poco importa – faranno il possibile per difenderci dagli attacchi terroristici. Ma oltre ciò occorre andare a fondo. Non possiamo rifiutarci di capire che se la violenza islamica miete consensi sommessi (e neppure tanto) dietro c’è una sofferenza ormai atavica rispetto al colonialismo politico-economico dell'Occidente su quei popoli. Dire che il terrorismo internazionale è il sintomo più pericoloso degli squilibri esistenti nel nostro mondo non significa giustificare il terrorismo ma piuttosto capirne le radici per contrastarlo meglio. Se esistono ventenni che, pur allevati nella culla consumistica dei nostri paesi, covano una vendetta in nome della quale sono disposti a sacrificare la propria vita non è per una mera deviazione culturale e religiosa. L’Islam è solo la bandiera attorno alla quale si coagula tutto il malcontento che attraversa i paesi islamici. Il problema non è culturale ma politico e soprattutto economico. L’origine del conflitto non è nella diversità dei nostri stili di vita ma nello squilibrio delle risorse. L’Occidente deve capire che un’economia globale impone un ripartizione più equa della ricchezza. L’Occidente deve mandare a quei popoli segnali chiari di rispetto per le loro tradizioni e loro scelte politiche. È necessario rispondere con durezza ai terroristi ma rifiutando il confronto con l’Islam andremmo contro un processo inarrestabile di confronto con queste popolazioni. È una strategia che l’Europa non può permettersi. L’Europa, e l'Italia in particolare, è chiamata a svolgere un ruolo cardine di ponte fra questi due mondi. Tutti temiamo legittimamente di vedere le nostre tradizioni stravolte da questo incontro ma io non vorrei mai immaginare un futuro di grandi muraglie che difendono le nostre opulente città dall’incalzare di masse di poveri dalla pelle scura. Non voglio un mondo di eletti e di reietti. Abbiamo voluto conquistare il mondo col nostro progresso bene, questo ora c’impone di guidarlo verso una convivenza che si farà inevitabilmente sempre più stretta.
20 luglio 2005
19 luglio 2005
Costituzione a intermittenza per le toghe rosse
Più che un attacco considero la critica di Marcello Pera al Csm una difesa dei principi costituzionali.
Fa specie che mentre tutti si divertono a cogliere l''anticostituzionalità in quasi ogni atto di questo governo, da sinistra si condanni senza appello il presidente del Senato che, nel pieno esercizio delle proprie prerogative istituzionali, richiama l'organo di autogoverno della magistratura ad attenersi ai limiti circoscritti dall'art. 105. Fa specie e neppure tanto a ben vedere se è vero che dietro il Csm c’è la longa manus di Carletto Azeglio Ciampi che costituisce l’opposizione meno chiassosa ma più incisiva alla maggioranza di centro-destra. Il richiamo di Pera è un atto di naturale difesa della divisione dei poteri che si impernia perfettamente in una politica liberale. Infatti la seconda carica dello Stato ha sottolineato come l’espressione autonoma da parte del Csm di pareri non richiesti e addirittura il ricorso alla Consulta contro una legge del Parlamento ponga comunque, a prescindere dalla Costituzione, un problema d’interferenza tra organi con funzioni differenti. Su questo punto il Pera-pensiero è rigorosamente liberale, rispettoso di una costituzione ideale che è alla base di tutti i sistemi democratici. La linearità di questo ragionamento è dimostrata del resto dall’inaspettato sostegno che la critica del presidente del Senato ha incontrato nel deputato di Rifondazione, Giuliano Pisapia, responsabile del settore giustizia per il partito di Bertinotti. In un’intervista sulla seconda pagina del Corriere della Sera di oggi, Pisapia, pur condividendo nella sostanza il parere del Csm, riconosce l’inopportunità di giungere ad uno scontro che altera gli equilibri tra i poteri ricordando come i giudici abbiano la possibilità di esprimere le proprie posizioni sui lavori del parlamento, attraverso le proprie associazioni, nelle audizioni che sempre in questi casi hanno luogo nelle commissioni competenti. Alla faccia di chi vede fratture continue nella Cdl il lo stesso presidente della Camera non ha esitato a difendere la legittimità delle parole di Pera affermando che “se i presidenti di Camera e Senato richiamano il Csm a rispettare l'autonomia delle Camere "non è lesa maestà". Sulla riforma Castelli quindi il Polo mostra i muscoli e trasforma l'attacco del Csm in un boomerang per le toghe rosse.
Fa specie che mentre tutti si divertono a cogliere l''anticostituzionalità in quasi ogni atto di questo governo, da sinistra si condanni senza appello il presidente del Senato che, nel pieno esercizio delle proprie prerogative istituzionali, richiama l'organo di autogoverno della magistratura ad attenersi ai limiti circoscritti dall'art. 105. Fa specie e neppure tanto a ben vedere se è vero che dietro il Csm c’è la longa manus di Carletto Azeglio Ciampi che costituisce l’opposizione meno chiassosa ma più incisiva alla maggioranza di centro-destra. Il richiamo di Pera è un atto di naturale difesa della divisione dei poteri che si impernia perfettamente in una politica liberale. Infatti la seconda carica dello Stato ha sottolineato come l’espressione autonoma da parte del Csm di pareri non richiesti e addirittura il ricorso alla Consulta contro una legge del Parlamento ponga comunque, a prescindere dalla Costituzione, un problema d’interferenza tra organi con funzioni differenti. Su questo punto il Pera-pensiero è rigorosamente liberale, rispettoso di una costituzione ideale che è alla base di tutti i sistemi democratici. La linearità di questo ragionamento è dimostrata del resto dall’inaspettato sostegno che la critica del presidente del Senato ha incontrato nel deputato di Rifondazione, Giuliano Pisapia, responsabile del settore giustizia per il partito di Bertinotti. In un’intervista sulla seconda pagina del Corriere della Sera di oggi, Pisapia, pur condividendo nella sostanza il parere del Csm, riconosce l’inopportunità di giungere ad uno scontro che altera gli equilibri tra i poteri ricordando come i giudici abbiano la possibilità di esprimere le proprie posizioni sui lavori del parlamento, attraverso le proprie associazioni, nelle audizioni che sempre in questi casi hanno luogo nelle commissioni competenti. Alla faccia di chi vede fratture continue nella Cdl il lo stesso presidente della Camera non ha esitato a difendere la legittimità delle parole di Pera affermando che “se i presidenti di Camera e Senato richiamano il Csm a rispettare l'autonomia delle Camere "non è lesa maestà". Sulla riforma Castelli quindi il Polo mostra i muscoli e trasforma l'attacco del Csm in un boomerang per le toghe rosse.
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