13 ottobre 2006

Per Confindustria non è questione solo di Tfr


“La manovra finanziaria è debole e insoddisfacente, priva dei preannunciati interventi strutturali sui grandi capitoli di spesa pubblica”. Non è l’ennesima critica proveniente dalle file dell’opposizione ma il giudizio durissimo espresso dal vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, sul testo presentato dal governo nell’audizione di mercoledì davanti alla commissione Bilancio della Camera. Non è dunque solo il trasferimento del Tfr, come vorrebbe far credere il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, a sollevare le critiche di Confindustria alla finanziaria presentata dal governo. A preoccupare è l’intento complessivo della manovra troppo sbilanciato, secondo Viale dell’Astronomia, sull’obiettivo “redistribuzione” a danno dell’obiettivo “crescita” che semmai finisce per essere sfavorito da un aumento del carico fiscale. Nell’intervento in commissione Bilancio Bombassei ha infatti sottolineato l’importanza di ridistribuire le opportunità e non solo il potere d’acquisto investendo su scuola, università e formazione. Pur apprezzando lo sforzo sul cuneo fiscale la grande industria considera la manovra incapace di affrontare il problema del contenimento della spesa. In particolare Bombassei ha lamentato la mancanza di riforme strutturali sulla spesa sanitaria destinata a crescere rispetto allo scorso anno da 91 a 103 miliardi di euro con un incremento di ben il 13%! Un aggravio notevole per l’erario che potrà essere coperto solo con l’aumento delle addizionali puntualmente sbloccate dal governo. Ed è proprio questo punto ad irritare gli industriali. La copertura integrale della spesa sanitaria infatti potrà consentire anche lo sblocco dell’addizionale Irap, oltre l’uno per cento attualmente previsto, scaricando così sulle imprese la gestione poco oculata della sanità da parte degli amministratori locali.
Rebus sic stantibus risulta evidente come la rottura dell’idillio tra Unione e vertici degli industriali vada ben oltre l’intervento del Tfr. I numeri della manovra sono chiarissimi nell’indicare l’impronta dirigista del governo che in questo modo non aiuterà certo ad accelerare la pur timida ripresa del Paese.
A Montezemolo ora non resta che spiegare alla sua base come fosse possibile attendersi da una coalizione con una componente massimalista così consistente una politica economica differente. Su 35 miliardi di manovra meno di 15 serviranno a correggere il disavanzo e ben 20 serviranno invece a soddisfare le aspirazioni di “giustizia sociale” del centrosinistra. Aspirazioni destinate peraltro a non portare alcun concreto risultato. Quale giustizia sociale infatti garantisce una manovra che abbassa la soglia dell’aliquota massima a 75 mila euro di reddito lasciandola invariata per i redditi oltre i 100 mila? Quale giustizia sociale realizza una manovra che introduce il ticket per il pronto soccorso e sblocca le addizionali comunali, aumentando di fatto imposte che colpiscono senza distinzione di censo? Quale giustizia sociale rende possibile una manovra che dimentica i lavoratori precari per i quali in campagna elettorale si erano sprecati fiumi di promesse? La coperta è corta si continua a ripetere. Verissimo. Sbagliare in certe situazioni è terribilmente facile. Proprio per questo però un governo saggio dovrebbe mettere da parte gli intenti moralistici di vana redistribuzione evitando di mettere la mani nelle tasche dei cittadini.

10 ottobre 2006

L’Istat sconfessa un'altra bugia: dal 2004 cresciamo in innovazione


Dopo l’aumento del gettito fiscale e l’inversione di tendenza nel rapporto deficit/Pil, arriva dall’Istat un nuovo tassello di verità sui risultati del governo Berlusconi, quello relativo all’andamento degli investimenti in ricerca e sviluppo. Per il 2004 l’Istituto nazionale di statistica ha registrato rispetto all’anno precedente una crescita della spesa in R&S intra muros (cioè svolta da imprese e istituzioni al loro interno) del +3,3% in termini monetari, con un ammontare complessivo pari a oltre 15 miliardi. Non è tutto. Nello studio appena diffuso l’Istat prevede sulla stessa spesa un aumento anche per il 2005 e il 2006 rispettivamente del 5,6 per cento e del 4,1 per cento.
Insomma una volta di più viene svelata la grave distorsione della realtà rappresentata da quanti, tabelle e grafici alla mano, continuano a strapparsi i capelli per le gravi mancanze del governo Berlusconi. È lo stesso Istat del resto che, nella relazione introduttiva, indica nelle misure adottate due anni fa dal governo la causa principale dell’incremento della spesa in R&S.


Ed infatti al 2004 risale la Tecnotremonti, il decreto legge che defiscalizzava le spese sostenute dalle imprese in innovazione. Nello stesso periodo inoltre il governo di centrodestra varava tre interventi fondamentali per la modernizzazione del sistema paese: il Fondo Centrale di Garanzia, con una dotazione di 160 milioni di euro per innescare investimenti in innovazione digitale per almeno 3,2 miliardi di euro da parte di oltre 16 mila piccole e medie imprese; gli Accordi di Programma Quadro, con 100 milioni di euro per quelle zone del sud già pronte per progetti innovativi; il Fondo High Tech, con cui il Cipe stanziava 100 milioni di euro per la nascita di piccole e medie imprese ad alta tecnologia nel Sud. Come sorprendersi allora oggi dei dati Istat? Ma soprattutto quanto pesa la “innocente approssimazione” di una certa stampa sulla democraticità delle nostre istituzioni?

Ad una manciata di giorni dall’elezioni politiche (per l’esattezza il 29 marzo 2005), il Sole24ore pubblicò nelle prime pagine una serie di tabelle sullo stato degli investimenti in innovazione nel nostro Paese basato su una fonte indiscutibilmente autorevole: il Factbook 2006 dell’Ocse. Dati alla mano l’inchiesta sembrava bocciare in toto la politica del governo Berlusconi nel campo dell’innovazione, leva fondamentale per il rilancio della competitività. Il Paese risultava indietro in particolare negli investimenti nella ricerca e nella formazione di laureati in materie scientifiche. E tuttavia nelle didascalie a margine delle tabelle Ocse, in un corsivo minuscolo, si nascondeva un’indicazione tutt’altro che marginale. Molte di quelle cifre erano riferite al 2002 e al 2003. Insomma all’esecutivo in carica dal 2001 venivano affibbiati risultati che evidentemente non potevano essere maturati sotto i suoi interventi. Com’è possibile infatti pensare che in due anni un governo possa aumentare il numero dei laureati in ingegneria? Da un punto di vista strettamente analitico bisognerebbe capire una volta per tutte come gli effetti di alcuni interventi normativi non possono essere valutati con precisione nell’immediato. I dati pubblicati ieri dall’Istat mostrano oggi quanto la pioggia di cifre negative fosse subdola e abbia fornito, in un momento cruciale per una sfida elettorale giocata su un pugno di voti, una visione distorta della realtà a tutto svantaggio del governo uscente e dell'Italia.

L’ambiguità croce e delizia di Prodi



Le ataviche contraddizioni interne all’attuale maggioranza hanno uno snodo ben preciso che risiede nel non programma varato dal centrosinistra un anno fa circa. Quando da questa parte si dileggiava quel grazioso e ilare volumetto, ostentato da Prodi & Co. come la soluzione di tutti i problemi, come quel che avrebbe fatto il Bene dell’Italia, fummo tacciati di superficialità, di approccio preconcetto e partigiano. Oggi è chiaro in realtà come la falla della Tav non fu certo una semplice svista ma l’indicatore della linea politica perseguita dall’ammucchiata antiberlusconiana: quella del non scelta. Ecco quindi un programma ricchissimo di grandi propositi, di ottimi slogan elettorali ma privo di qualsiasi linea strategica. Così le domande sul taglio del cuneo fiscale: in quanto tempo? per chi? e soprattutto con quali risorse? Così le domande sugli stanziamenti a scuola, sanità e ricerca? Così le domande sulla politica estera al grido fuori dall’Iraq. Ovunque ambiguità dettata da indecisione prima che da strategia. Perché se c’è qualcosa di cui a detta di tutti questo governo è sprovvisto è appunto una linea politica chiara. Non si tratta qui di sapere esattamente con quali misure e in quale modo ma quali leve vuoi utilizzare per risollevare questo benedetto paese? Lo scotto di impopolarità che l’esecutivo sta pagando è uno scotto stupido perché in termini politici non porta da nessuna parte. Ben più lungimirante sarebbe stato per esempio sposare in pieno una linea riformista che senza toccare il sistema fiscale – che a detta dello stesso governo funzionerebbe bene – avesse spinto con forza sull’innovazione delle imprese e sulla ricerca. Magari alla maniera “sinistra”, cioè con contributi diretti anziché con agevolazioni o defiscalizzazioni, ma comunque in una direzione chiara scelta da chi, vinte le elezioni, sacrifica le istanze dell’ala massimalista puntando a soddisfarle semmai nei prossimi anni magari con un Pil migliore. Certo questa strategia avrebbe destabilizzato la maggioranza, con rischi conseguenti di tenuta parlamentare, ma dove conduce invece questo coricarsi sul conservatorismo sindacale? Da sedicente economista risanatore Tommaso Padoa Schioppa si è adattato al ruolo di ragioniere fallimentare. La ratio seguita è stata più o meno questa: l’azienda sta crollando, spartiamoci quel po’ di dividendi accontentando il nostro azionista con più peso – leggi sindacato – non certo con più voti.
Il problema politico di tenere insieme una maggioranza composita poteva in realtà essere risolto alla radice con un programma sintetico e preciso. Piuttosto che autoproclamarsi salvatori della patria Prodi & Co. avrebbero dovuto prendere atto della estrema diversità delle posizioni all’interno del centrosinistra e individuare pochi punti precisi, perlomeno in politica economica, entro i quali il futuro governo si sarebbe mosso. Il metodo evidentemente era però troppo rischioso per chi come il premier aspirava ad occuparsi di affari più che di politica. Di qui l’accontentarsi di un solo mandato, sufficiente a stabilizzare nuovi potentati per i prossimi decenni, purtroppo sufficiente però anche a minare nelle fondamenta le speranze di un riscatto che il nostro Paese proprio oggi sarebbe pronto ad ottenere.