10 ottobre 2006

L’Istat sconfessa un'altra bugia: dal 2004 cresciamo in innovazione


Dopo l’aumento del gettito fiscale e l’inversione di tendenza nel rapporto deficit/Pil, arriva dall’Istat un nuovo tassello di verità sui risultati del governo Berlusconi, quello relativo all’andamento degli investimenti in ricerca e sviluppo. Per il 2004 l’Istituto nazionale di statistica ha registrato rispetto all’anno precedente una crescita della spesa in R&S intra muros (cioè svolta da imprese e istituzioni al loro interno) del +3,3% in termini monetari, con un ammontare complessivo pari a oltre 15 miliardi. Non è tutto. Nello studio appena diffuso l’Istat prevede sulla stessa spesa un aumento anche per il 2005 e il 2006 rispettivamente del 5,6 per cento e del 4,1 per cento.
Insomma una volta di più viene svelata la grave distorsione della realtà rappresentata da quanti, tabelle e grafici alla mano, continuano a strapparsi i capelli per le gravi mancanze del governo Berlusconi. È lo stesso Istat del resto che, nella relazione introduttiva, indica nelle misure adottate due anni fa dal governo la causa principale dell’incremento della spesa in R&S.


Ed infatti al 2004 risale la Tecnotremonti, il decreto legge che defiscalizzava le spese sostenute dalle imprese in innovazione. Nello stesso periodo inoltre il governo di centrodestra varava tre interventi fondamentali per la modernizzazione del sistema paese: il Fondo Centrale di Garanzia, con una dotazione di 160 milioni di euro per innescare investimenti in innovazione digitale per almeno 3,2 miliardi di euro da parte di oltre 16 mila piccole e medie imprese; gli Accordi di Programma Quadro, con 100 milioni di euro per quelle zone del sud già pronte per progetti innovativi; il Fondo High Tech, con cui il Cipe stanziava 100 milioni di euro per la nascita di piccole e medie imprese ad alta tecnologia nel Sud. Come sorprendersi allora oggi dei dati Istat? Ma soprattutto quanto pesa la “innocente approssimazione” di una certa stampa sulla democraticità delle nostre istituzioni?

Ad una manciata di giorni dall’elezioni politiche (per l’esattezza il 29 marzo 2005), il Sole24ore pubblicò nelle prime pagine una serie di tabelle sullo stato degli investimenti in innovazione nel nostro Paese basato su una fonte indiscutibilmente autorevole: il Factbook 2006 dell’Ocse. Dati alla mano l’inchiesta sembrava bocciare in toto la politica del governo Berlusconi nel campo dell’innovazione, leva fondamentale per il rilancio della competitività. Il Paese risultava indietro in particolare negli investimenti nella ricerca e nella formazione di laureati in materie scientifiche. E tuttavia nelle didascalie a margine delle tabelle Ocse, in un corsivo minuscolo, si nascondeva un’indicazione tutt’altro che marginale. Molte di quelle cifre erano riferite al 2002 e al 2003. Insomma all’esecutivo in carica dal 2001 venivano affibbiati risultati che evidentemente non potevano essere maturati sotto i suoi interventi. Com’è possibile infatti pensare che in due anni un governo possa aumentare il numero dei laureati in ingegneria? Da un punto di vista strettamente analitico bisognerebbe capire una volta per tutte come gli effetti di alcuni interventi normativi non possono essere valutati con precisione nell’immediato. I dati pubblicati ieri dall’Istat mostrano oggi quanto la pioggia di cifre negative fosse subdola e abbia fornito, in un momento cruciale per una sfida elettorale giocata su un pugno di voti, una visione distorta della realtà a tutto svantaggio del governo uscente e dell'Italia.

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