26 agosto 2005

IPSE DIXIT

Ciò che fuoriesce da questo ambito, non attiene ai fattori da prendere in esame, soprattutto in Sedi istituzionali, come questa.
Così Tonino Fazio da Alvito ha difeso strenuamente e assurdamente la bontà delle sue scelte sulle Opa bancarie al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio svoltosi oggi a Via XX Settembre. Dopo settimane di telenovele telefoniche e inchieste chiare di scalate bancarie irregolari il nostro Governatore sembra far finta di nulla e senza pudore si autoassolve da qualsiasi responsabilità addirittura spiegando ai ministri-scolaretti che, al di là di quanto lui stesso afferma, non c’è nulla da prendere in esame. Per fortuna che Mimì Siniscalco ha ottenuto almeno di rendere pubbliche queste assurdità così che oggi i vari Grillo, Maroni e tutta nostra altezza dell’Opus Dei ci penseranno due volte prima di continuare a difendere l’indifendibile…si spera. Di seguito riporto le dichiarazioni conclusive della relazione, ognuno giudichi come meglio crede.

La descrizione delle operazioni per il controllo della Banca Antonveneta e della Banca Nazionale del Lavoro, presentata in questa sede istituzionalmente competente,ha, in particolare, evidenziato i diversi momenti dell’attivazione dei poteri autorizzativi e di controllo.
La correttezza dei provvedimenti e dei comportamenti non può che derivare dalla loro conformità alla legge. Non sussistono altri parametri. Ciò che fuoriesce da questo ambito, non attiene ai fattori da prendere in esame, soprattutto in Sedi istituzionali, come questa. La Banca d’Italia ha scrupolosamente osservato le norme dell’ordinamento comunitario e di quello italiano, le norme regolamentari, le disposizioni di vigilanza. La sentenza del TAR del Lazio, con l’indicazione di criteri costantemente seguiti dall’Istituto, ne rende pienamente conto. Nel rigoroso rispetto dei poteri e degli organi dello Stato, a cominciare dal Parlamento, al quale guardiamo con grande attenzione, riteniamo che la conoscenza particolareggiata degli interventi effettuati dalla Banca d’Italia gioverà alla condivisione della linearità del suo operare. La Banca prosegue nella sua attività di monitoraggio e di controllo, pronta ad attivare, allorché ne ricorreranno i presupposti, i suoi specifici poteri.

Ps: chi fosse interessato può trovare a questo indirizzo il testo integrale della relazione.

L’insostenibile vaghezza del Centro

Da osservatore non legato ad alcuna ortodossia politica vorrei capire cos’è questo Grande Centro che avanzerebbe. Vorrei capirlo perché potrei anche sostenerlo, votarlo anche se per adesso mi accontenterei di conoscerlo. Tutto quello che traspare fino ad adesso è soltanto una insostenibile vaghezza, un fumosità tipica della Dc degli anni ’80, un sentenziare senza proporre, un girare intorno ai problemi lasciando emergere soltanto quelli che sono, dovrebbero essere gli attori. Vi prego allora spiegatemi cos’è questo centro di cui abbiamo così urgentemente bisogno! Spiegatemi per piacere non dico il programma ma gli obiettivi, la linea di demarcazione nell’agone politico. Spiegatemi quali sono le differenze col Polo e in particolare con Forza Italia. Spiegatemi cos’è questa misteriosa discontinuità che (per carità!!!) non riguarderà, come dite, tanto la leadership della Cdl, quanto un nuovo corso in senso più ampio per la coalizione. Ma quanto ampio? Forse fino alle poltrone che si desiderano? Perché sapete in Italia com’è basta poco a pensar male e qualcuno, che di centro se ne intende, questa filosofia la diffusa bene. Vorrei capire allora cosa dovrebbe fare questo governo per discontinuare e a chi gioverebbe questa rottura. Cosa c’è da rinnegare? La diaspora della Dc non è frutto di tangentopoli ma piuttosto dell’inadeguatezza di quel Grosso Centro a convogliare ancora consenso, nell’incapacità di individuare un linguaggio più diretto verso gli elettori coltivati, orto per orto, a suon di promesse e clientele. Non mi piace questo progetto. Non mi piace e non mi fido perché non è e non vuole essere chiaro. Non mi piace questa convergenza parallela tra i moderati dei due schieramenti. Non mi piace questo abuso del moderatismo, termine ormai tanto logoro quanto vuoto. Non mi piace questa sete di Grande Centro che è solo nelle viscere dei vertici dei tecnocrati e della grande finanza e che, son tranquillo, non andrà lontano perché l’Italia di oggi di tanto fumo e vaghezza non ne vuol sentir parlare.


    

2)Berlusconiadi: verso una politica dell'efficienza

Lo scossone all’interno dell’Unione, provocato qualche settimana fa dal giudizio negativo di Standard & Poor’s sull’affidabilità del centrosinistra, ha dimostrato come ormai la politica italiana si stia sempre più allontanando dai vecchi schemi ideologici cari alla prima repubblica. È chiaro infatti che le politiche del 2006 le vincerà non chi riuscirà a screditare meglio l’avversario ma piuttosto chi saprà vendere all’elettorato ancora incerto l’immagine più affidabile. Dalla seconda metà degli anni ’80 la politica italiana continua ad attraversare una fase di forte transizione destinata a concludersi con la ridefinizione di un nuovo rapporto tra Stato e cittadino. Forti sono le tenaglie che ancorano al passato il nostro sistema ma in questo caso la politica funziona autonomamente come l’economia di mercato. Ci sono spinte, bisogni naturali che non si possono contenere, procedono in modo indipendente dalle volontà dei singoli fino ad assestarsi verso un punto di equilibrio che assicuri maggiore stabilità ed efficienza. Non riesco pertanto a trovare coinvolgenti i timori, i presagi di immani catastrofi che secondo alcuni una riforma costituzionale potrebbe causare alla nostra società. Né mi inteneriscono i facili nostalgismi di prima repubblica troppo spesso dotati di una memoria filtrata, non storica ma ideologica. L’Italia, lo si voglia o no riconoscere, è nel pieno di una trasformazione che sta riavvicinando il cittadino alle istituzioni. È un processo complesso che purtroppo non segue naturalmente le vie più rapide e logiche ma è un processo incessante, ineluttabile. È la sfida ad una mentalità qualunquista che vede, o vuole vedere, sempre e comunque cittadino e istituzione in conflitto. È su questa sfida che nacque il centrodestra, è in questa sfida la sua ragion d’essere.    

25 agosto 2005

Una legge sul lobbyng per regolare i rapporti tra politica e affari

Le vicende ambigue emerse attorno all’operato della nostra banca centrale, al di là dell’ovvio scontro politico cui danno luogo, mostrano una debolezza di fondo delle regole di trasparenza e garanzia entro le quali dovrebbe muoversi la Banca d’Italia. A ben vedere il marciume che sta emergendo può avere risvolti positivi sulla prospettiva di una riforma delle prerogative del Governatore. Finalmente comincia ad essere sempre più difficile opporsi all’introduzione di un mandato a termine, finalmente si fa strada l'idea di un governatore che non faccia politica economica scegliendo se conviene aprire il nostro risparmio agli istituti di crediti stranieri o meno ma si limiti a vigilare sull’affidabilità del sistema bancario. Il momento potrebbe essere propizio anche per riaprire la discussione sull’opportunità di una legge che regolamenti l’attività di relazioni istituzionali. Gli scandali legati ad Unipol e Bpi hanno infatti riportato alla ribalta la necessità di una legge sull’attività di lobby che farebbe venir meno l’alibi dell’inciucio tra grandi imprese, politici e istituzioni di controllo. In queste settimane un’apertura ad una normativa sul lobbying è arrivata persino da Fausto Bertinotti e da altri leader del centrosinistra. Negli Stati Uniti le relazioni tra imprese e politica sono garantite nella costituzione e discplinate dal Lobbyng Act del 1946 – riformato nel 1995 – senza che ciò provochi l’assuefazione dei cittadini a losche commistioni. La regolamentazione di quest’attività aiuta semmai ad approfondire le questioni puntando il dito agli accordi che ledono chiaramente l’interesse pubblico. In Italia invece sullo stesso tema vige un puritanesimo di facciata che porta ad arricciare il naso davanti a certi legami che in una democrazia diventano inevitabili. Ci riempiamo la bocca di libero mercato salvo stupirci quando vediamo quanto il re, o il governatore, siano nudi. Per dormire sonni tranquilli e non aver timore di accettare un invito a cena al telefono il consiglio ai politici onesti, di certo la gran parte, è quindi di accelerare l’iter del ddl per la disciplina delle relazioni istituzionali già assegnato alla commissione Affari costituzionali della Camera e che già gode di un certo consenso trasversale.

24 agosto 2005

Berlusconiadi: verso le politiche 2006 col bipolarismo nel sangue

Ci siamo. Il giro di boa ferragostano apre sulla politica interna la vista sulla campagna per le politiche del 2006. Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento italiano rappresentano una tappa importantissima nella storia politica del nostro Paese. Per la prima volta gli italiani saranno chiamati a giudicare i risultati di una classe politica che ha governato ininterrottamente per un’intera legislatura. Ricambi in corsa a parte, i governi Berlusconi rappresentano infatti un unicum nell’esperienza della nostra democrazia che per la prima volta non ha visto Palazzo Chigi teatro del consueto valzer di inquilini. Non è tutto. L’ultima legislatura ha visto anche il consolidarsi di una costante opposizione da parte del centrosinistra che potrebbe verosimilmente guidare l’esecutivo dopo il prossimo rinnovo delle camere. Lo sforzo dei leader dell’opposizione nel parlare con un’unica voce ha dato concretezza a quello che gli inglesi chiamano shadow government e che, più di ogni alchimia elettorale, rappresenta la migliore garanzia per una democrazia dell’alternanza. Anche se questo processo si era già innescato in Italia con la vittoria dell’Ulivo nel 1996 e con un Polo continuamente ad incalzare gli esecutivi Prodi e D’Alema, è infatti in quest’ultima legislatura che il bipolarismo made in Italy ha assunto una fisionomia più stabile con una maggioranza e un’opposizione che, al di là delle fibrillazioni interne - fisiologiche in un sistema storicamente partitico - hanno mantenuto una sostanziale omogeneità.
Gli italiani potranno ora valutare come credono l’operato dei governi Berlusconi: l’opposizione accuserà la Cdl di essere responsabile della stagnazione economica e della perdita di competitività del Paese; la maggioranza tenterà di parare questi fendenti spiegando la particolare congiuntura internazionale che ha frenato la ripresa dell’Italia obbligando il governo a ridimensionare i propri obiettivi economici. Ma se vorrà vincere il Polo dovrà soprattutto evidenziare i risultati che, al di là delle difficoltà esterne, il Paese ha raggiunto in questi sei anni. Oltre a questo confronto, la grande rivoluzione di questi anni resta infatti la presenza di una squadra di governo che nel bene e nel male non potrà sottrarsi durante la prossima campagna elettorale al giudizio degli elettori. Il vero confronto sarà tutto qui. Sbaglierà campagna elettorale chi concentrerà il dibattito su aspetti diversi da quello dell’efficienza dell’azione di governo. Sbaglierà così l’Unione se privilegerà l’attacco ad personam al premier, la querelle giudiziaria e la lottizzazione delle poltrone, come strategie per conquistare voti. Sbaglierà il Polo se punterà a scongiurare la vittoria degli avversari paventando scenari apocalittici, se darà l’impressione di cercare soltanto giustificazioni alle proprie difficoltà tra euro, Cina e guerre. Tutte queste argomentazioni possono servire soltanto per rafforzare il sostegno dei propri elettori ma non saranno utili a convogliare nuovi voti sulla coalizione. Il punto su cui gli incerti e gli astensionisti orienteranno la propria scelta dipenderà invece dalla capacità dei leader di dimostrarsi affidabili nell'innescare la crescita del Paese. A Prodi spetterà spingere gli italiani a cambiar guida mettendo a nudo le incapacità del Polo nel fornire garanzie di ripresa.
A Berlusconi toccherà far leva su quanto nonostante tutto è stato fatto e sull’opportunità di dare continuità alla politica di questi anni