Ho ricevuto questa commento al mio precedente post sui Pacs:
Credo che il punto nodale sia una definizione di omosessualità.
Se si considera l'omosessualità una malattia e, in altri casi una perversione, non v'è alcuna ragione per accordare una legislazione di privilegio (che non sia finalizzata alla cura) agli omosessuali.
Se poi vogliamo dare una tutela giuridica alle coppie non sposate, beh, questa già c'è.
C'è la possibilità di testare, di lasciare legati, di conferire procure.
A cosa servirebbero i pacs se non ad aggirare surrettiziamente la questione matrimoniale ?
L’obiezione è interessante perché offre la possibilità di essere ancora più incisivo su quello che era al centro del mio post, cioè la politica liberale.
Uno dei principi indiscussi sui cui si fonda il liberalismo è che lo Stato intervenga soltanto su quelle scelte individuali che in qualche modo limitano o addirittura ledono le libertà dei terzi. Un governo liberale quindi non è tenuto a valutare la legittimità o tanto meno la moralità di un orientamento sessuale. I Pacs non sono un modo per aggirare il matrimonio ma semplicemente il riconoscimento legale di un accordo tra due persone. Lo Stato è chiamato cioè a non vietare la possibilità di una coppia omosessuale di vincolarsi ad una reciproca assistenza con tanto di pensione di reversibilità e diritto ad una quota (c.d. legittima) di un’eventuale eredità. Il punto è: cosa frega allo Stato e quindi alla comunità se due uomini o due donne decidono di accordarsi in questo modo? NULLA, semplicemente nulla. Obiettivo primo dello Stato liberale è assicurare il tranquillo svolgimento della vita dei cittadini tutelando in pieno le loro scelte individuali, non andarsi ad impelagare in questioni etiche senza fine come se considerare l’omosessualità una perversione da curare o una cattiva condotta da reprimere. Questo non significa che lo Stato non rispetti la morale, ma piuttosto che non ne sposi alcuna perché qualsiasi verità assoluta sarà sempre una verità non condivisa da tutti e minerà di conseguenza alla base le fondamenta della società civile.
08 luglio 2005
06 luglio 2005
Sui Pacs Forza Italia dimostri la sua carica liberale
La discussione che si sta aprendo in questi giorni sui forum di centrodestra in tema di unione tra omosessuali è un’ottima occasione per confrontarsi anche sul ruolo di uno stato veramente liberale rispetto a temi così delicati. Ad accendere questo proficuo dibattito è stato l’intervento di Marcello Pera che da liberale ha definto il divorzio lampo e il matrimonio omosessuale, recentemente approvati dal parlamento di Madrid, come ''un trionfo di quel laicismo che pretende di trasformare i desideri e talvolta anche i capricci in diritti umani fondamentali''. Uno dei nodi della questione pare essere proprio il valore da assegnare all’istituto del matrimonio che secondo alcuni sarebbe né più né meno che un accordo fra le parti, assimilabile nella base ad ogni altro tipo di negozio giuridico, secondo altri un rito cristiano inserito nel diritto positivo dello stato italiano laico che pertanto non può diventare oggetto di modifiche avventate, quelle per intenderci che Pera definisce “capricci”. In verità pare difficile non riconoscere l’origine cristiana del matrimonio e la sua funzione fondante della famiglia. La necessità di ufficializzare davanti alla società l’unione di una coppia nasceva proprio dall’esigenza di offrire una tutela alla prole tanto è vero che ancora oggi, per il diritto canonico, l’impotenza o anche la scelta deliberata di non procreare può essere causa di scioglimento del vincolo coniugale da parte della Sacra Rota. Far riferimento al diritto canonico è importante perché credo faccia emergere inequivocabilmente la natura religiosa dell’istituto matrimoniale e di conseguenza consente anche di capire meglio le chiusure della nostra cultura davanti alla possibilità di rivoluzionarne la base. Consentire ad una coppia che non può generare l’accesso a questo “accordo” giuridico significa infatti rivoluzionare completamente la ratio dell’istituto. Pur da una posizione agnostica quindi capisco le reticenze della nostra società ad aprire il matrimonio agli omosessuali e a questo punto mi chiedo: ma questo scontro è proprio necessario? Perché impuntare i piedi sull’accesso al matrimonio e non invece pretendere il riconoscimento di una convivenza sul modello dei Pacs francesi? Non capisco la battaglia di principio di chi vuole a tutti i costi il matrimonio omosessuale semplicemente perché si scontra con un altro principio che merita altrettanto rispetto cioè la tradizionale funzione del vincolo coniugale. Il capriccio periano secondo me allude proprio a questo accanirsi non per un diritto civile ma per un’equiparazione che nei fatti non potrà mai esserci. Tanto questa battaglia ha scarso valore quanto tra gli stessi esponenti delle associazioni omosessuali del resto si privilegia la lotta per il riconoscimento delle unioni civili. Franco Grillini lo ha capito benissimo e in questa posizione si sta muovendo perché sa bene che è più facile far passare in parlamento una legge sui Pacs, basata sull’esigenza sociale di assicurare un ombrello giuridico alle coppie conviventi, che una legge che estenda il matrimonio alle coppie omosessuali. Anche Imma Battaglia, presidente di Di’ Gay Project, in un’intervista a Vanity Fair (ripresa dal Foglio) dichiarava testualmente: “Io non chiedo il matrimonio, che è un’Istituzione che ha una storia e merita rispetto, ma una regolamentazione delle unioni civili sì”. Insomma la comunità omosessuale è quanto meno per ora interessata prima di tutto a risolvere il problema concreto dell’assistenza sociale piuttosto che scontrarsi con la cultura conservatrice del nostro Paese. Forza Italia su questo campo può dimostrare ancora una volta tutte le sue peculiarità che la distinguono dagli alleati e ne fanno un partito tutt’altro che privo di contenuti e idee. Il rilievo che Il Corriere della Sera ha dato oggi all’apertura di Biondi ai Pacs è leggermente fuorviante. È infatti stato presentato già nell’ottobre del 2003 un disegno di legge del deputato azzurro, Dario Rivolta, per l’introduzione del patto civile di solidarietà, sostenuto da una folta rappresentanza di parlamentari azzurri e anche da alcuni deputati di An. Per il partito del premier la questione rappresenta l’occasione per smarcarsi dall’accusa di neoguelfismo che il referendum sulla procreazione ha erroneamente procurato dando prova di essere davvero quel movimento politico liberale di cui l’Italia ha bisogno. È liberale affrontare infatti i problemi sociali in modo diretto senza perdersi su chiacchiere di principio e su questioni religiose. Gli omosessuali hanno diritto ad avere la possibilità di vincolarsi ad una reciproca assistenza e questo diritto lo stato liberale deve e può facilmente riconoscerlo perché non tange i diritti di altri soggetti giuridici. L’estensione del matrimonio in toto agli omosessuali invece imporrebbe per forza di cosa un percorso legislativo più complesso. Dovendo verificare articolo per articolo la possibilità di applicare tutti i diritti alle coppie gay e lesbiche l’iter aprirebbe inevitabilmente lo scontro sulla possibilità di adottare figli facendo passare in secondo piano il punto centrale della mutua assistenza.
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