Di seguito l’editoriale apparso sulla prima pagina del Corriere della Sera di oggi da parte di un editorialista tutt’altro che in odore di “berlusconite”. Un’analisi obiettiva condita di considerazioni lungimiranti su cui ogni elettore del centrosinistra dovrebbe soffermarsi.
Caso Consorte: riflessioni sul collateralismo
I Ds e le Coop. Fine di un'era
L'imbarazzo dei Ds è comprensibile. Dopo avere agitato la «questione morale» e proclamato con una certa arroganza le loro superiori virtù civili, sono costretti a leggere nei giornali che anche il loro partito, come quello di Bettino Craxi negli anni Ottanta, ha subito una specie di «mutazione genetica».
Qualcuno si ribella e denuncia l'esistenza di un complotto. Altri respingono le accuse e rifiutano qualsiasi confronto con gli avversari. Altri ancora accennano a un «mea culpa», ma per ragioni soprattutto di stile, e credono che per uscire da questo brutto sogno basti tornare all'austerità di un tempo.
So che i consigli provenienti dall'esterno non sono generalmente graditi.Ma proverò a dire le ragioni per cui queste reazioni mi sembrano sbagliate e controproducenti.
Credo che i Ds farebbero bene, anzitutto, a sbarazzarsi dell'idea di un complotto. All'epoca di Tangentopoli molti procuratori avevano forti ambizioni e speravano di costituire una specie di Collegio dei censori al servizio della pubblica moralità. Oggi non danno interviste, non partecipano a dibattiti, non si vestono e si svestono di fronte alle telecamere. Può darsi che pecchino ogni tanto di troppo zelo, ma fanno le loro indagini con il piglio e lo stile dei loro colleghi americani, inglesi, francesi o spagnoli.
Piaccia o no, questa è la democrazia moderna. Ne sanno qualcosa Giulio Andreotti, Bill Clinton, François Mitterrand, Helmut Kohl, Gerhard Schröder e persino Tony Blair. Non vedo perché iDs dovrebbero considerarsi al di sopra di ogni sospetto e trattare ogni indagine alla stregua di un delitto di lesa maestà.
In secondo luogo dovrebbero rendersi conto che certe abitudini del passato sono diventate oggi inaccettabili e pericolose. L'osservazione è diretta in particolare a Piero Fassino e per certi aspetti a Massimo D'Alema. Quando i lettori appresero, nel corso dell'estate, che Giuseppe Consorte, presidente di Unipol, informava per telefono il segretario dei Ds sullo sviluppo dell'operazione per l'acquisto di Bnl, Fassino, risentito, ricordò i rapporti di solidarietà e vicinanza che legavano il suo partito al grande movimento cooperativo.
Commise un errore e ne intuisco le ragioni. Sapeva che i grandi partiti operai europei, a cominciare dalla socialdemocrazia tedesca, avevano incoraggiato fin dall' Ottocento la nascita nella loro società nazionale delle istituzioni tipiche di una futura economia socialista: cooperative, banche, case editrici, edilizia popolare. Ma nel momento in cui rivendicava il diritto di avere con il presidente di Unipol un rapporto organico, Fassino non sembrava rendersi conto che il quadro, nell'Europa del mercato unico, era ormai profondamente cambiato. Il fatto stesso che Unipol, società d'assicurazione della Lega delle cooperative, fosse già divenuta una banca e aspirasse ora a inghiottire uno dei maggiori istituti di credito nazionali, avrebbe dovuto metterlo in allerta e suggerirgli una maggiore prudenza.
Fassino avrebbe dovuto comprendere che Consorte non era più l'uomo delle cooperative: era un banchiere come gli altri, inevitabilmente destinato a trattare i suoi affari con la stessa libertà a tutto campo di molti dei suoi colleghi. E in tal modo avrebbe risparmiato a se stesso l'imbarazzo di questi giorni.
Sergio Romano
23 dicembre 2005
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