Io preferisco D’Alema. Sì preferisco baffetto barcaiolo che si arrampica sugli specchi riconoscendo i propri errori, a fra Walter dal Campidoglio che – ospite domenica sera di Che Tempo che fa – auspica ieraticamente un ritorno ad un confronto politico più sereno e rispettoso. Come può Veltroni continuare imperterrito a dare lezioni di stile agli altri, come può invocare una lotta che non punti alla “distruzione”, sono le sue parole, dell’avversario? Lui esponente di un partito che dell’attacco totale, morale e giudiziario, ha fatto la strategia prediletta da tangentopoli in poi? Mi fa più tenerezza, ed è perciò politicamente più intelligente D’Alema, anche se le sue scuse dovrebbero arrivare per altre colpe.
Vorrei che il presidente dei Ds facesse mea culpa non tanto per il collateralismo col mondo degli affari, inestricabile dalla politica, quanto piuttosto per quella saccenza con cui il suo partito ha puntato il dito in questi anni sui presunti poteri forti che agivano attraverso il centrodestra. Caro D’Alema disconosca una volta per tutte il valore della cultura del sospetto uguale verità che tanti danni ha causato al nostro Paese. Le elezioni politiche, ne son certo, non si giocheranno sulle vicende giudiziarie così come non si sono giocate sugli avvisi di garanzia contro Berlusconi nel 2001. Gli italiani sono abbastanza intelligenti da capire che ormai son passati i tempi della rincorsa alla ghigliottina delle inchieste ancora in corso. A sinistra l’elettorato non è più esigente o più dotato di autocritica, è stato semplicemente più illuso dalla sua classe politica di riferimento che i mali fossero tutti dall’altra parte, che non fosse geneticamente possibile che a sinistra si giocasse con banche, catene commerciali, compagnie di assicurazione e telefoni se non con l’obiettivo di rendere sempre più bella e gioiosa lo spirito solidale delle cooperative. A me la rabbia dei vostri sostenitori più genuini ricorda tanto la stessa tristezza dei bambini che scoprono sotto il cappello di Babbo Natale la testa del papà o dello zio.
10 gennaio 2006
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