14 settembre 2006

Stasera Anno Zero della I Repubblica


Se perdi il lavoro non cercarne un altro ma piangi finquando non lo riavrai. È questo il significato più triste che la love story tra Rai e Michele Santoro indirettamente ma decisamente ci trasmette. Da sempre il servizio pubblico ha avuto i suoi martiri estromessi dall’alternanza delle correnti politiche di turno. Spesso la rimozione è avvenuta a dispetto del consenso televisivo che il giornalista aveva saputo conquistare. Ma vi è una differenza fondamentale. Gianfranco Funari, Oliviero Beha, Massimo Fini e gli stessi Enzo Biagi e Luttazzi ed oggi Clemente Mimun, dopo essere stati ostracizzati si rimboccarono le maniche e forti della loro professionalità cercarono fortuna altrove. Michele Santoro no. Come i rampolli di famiglia viziati ha cominciato a fregnare, manco il suo caso fosse il primo della storia televisiva italiana. Quello che sdegna nell’affaire Santoro non è il suo reintegro ma l’atteggiamento col quale ha ottenuto il giocattolo che tanti suoi colleghi altrettanto meritevoli non avranno mai. Riesce difficile infatti comprendere le difficoltà nel trovare una nuova collocazione per un professionista dell’informazione che ha avuto la capacità, ma anche la fortuna, di lavorare per oltre dieci anni nella prima serata della Rai. Invece il viziato ha cominciato a piangere, ottenendo dal suo partito di riferimento una poltrona a Strasburgo con l’obiettivo semplicemente di avere un nuovo palchetto dal quale piagnucolare ancora. Stasera ritorna. E come i ragazzini per la vittoria della loro squadra del cuore, Santoro ci regala il suo crin dorato. Giustizia è fatta Michelino, hai di nuovo il pane quotidiano. Povera Italia.

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