30 ottobre 2006

Un Mastellum per servire le toghe rosse

La Camera ha approvato la settimana scorsa in via definitiva il ddl Mastella, che blocca la riforma liberale della giustizia varata dal centrodestra, destinata ad entrare in vigore questo mese. Il provvedimento annacqua infatti le misure relative agli illeciti disciplinari e alla gerarchizzazione delle procure, ma soprattutto congela - fino al 31 luglio 2007 - il punto nevralgico della riforma Castelli: la separazione della funzione requirente da quella giudicante. A nulla sono valsi, su questo punto, i tentativi dell'opposizione di emendare il testo del governo. Vane anche le perplessità manifestate dai deputati della Rosa nel Pugno - da sempre sostenitrice della separazione delle carriere - che, pur tra mille mugugni, hanno finito per inchinarsi agli oneri di coalizione, dimostrando una volta di più di essere soltanto una «espressione geografica» all'interno della maggioranza.

Oltre alla distinzione delle funzioni, la nuova normativa congela anche le modifiche ai criteri di progressione delle carriere e ai concorsi per l'accesso alla magistratura. La precaria tenuta di Prodi al Senato ha permesso alla CdL di strappare solo un parziale mantenimento delle altre novità introdotte dalla Castelli. Rispetto alla riforma del centrodestra, è stato infatti escluso il coinvolgimento del Guardasigilli nel procedimento disciplinare, sul quale resterà competente la sola Cassazione, e sono state ristrette ed attenuate le ipotesi di illecito. Per quanto concerne l'assetto interno alle procure, viene invece abrogata la responsabilità esclusiva del procuratore capo e l'inserimento del provvedimento di revoca nel fascicolo personale del sostituto.

L'ansia della maggioranza di disinnescare le novità approvate nella precedente legislatura ha già provocato intanto due inconvenienti tecnici. Anche se per pochi giorni, infatti (prima che trascorra la vacatio legis per il Mastellum), entrerà in vigore l'obbligo per i magistrati di optare per la funzione di pm o di giudice. Le toghe, come forma di protesta, hanno intasato il Csm con numerosissime domande on line di assegnazione dell'incarico. Danno ben più grave invece è stato commesso sul processo disciplinare, dove il mancato riferimento al codice di procedura civile ha l'effetto di applicare le regole del processo penale al giudizio davanti alle sezioni unite civili della Cassazione.

Così, mentre le procure si trovano a fronteggiare l'ulteriore emergenza creata dal decreto Bersani col blocco dei pagamenti delle consulenze, l'Unione partorisce un altro papocchio che aggiunge confusione al caos che già assilla il sistema giustizia. Lo stesso titolo del provvedimento è di per sé estremamente eloquente: «Sospensione dell'efficacia delle disposizioni dell'ordinamento giudiziario». Il Mastellum, cioè, non rimpiazza la riforma del centrodestra con una legittima controriforma, ma maldestramente rinvia qualsiasi tipo di rinnovamento della macchina della giustizia, ferma alla disciplina del 1941.

Il rinvio cela in realtà le opposte sollecitazioni che agitano la maggioranza anche sul fronte giustizia. Da un lato le pressioni di Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia, le due correnti di sinistra della magistratura che da sempre invocano la cancellazione in toto della riforma Castelli. Dall'altro le tendenze più garantiste che attraversano la Margherita e la corrente riformista dei Ds, i dalemiani per intenderci. La stessa attribuzione del dicastero di Via Arenula al «moderato» leader dell'Udeur e il lungo scontro interno che ha sbarrato l'accesso di Luciano Violante al Csm, hanno indicato, fin dalla nascita del governo Prodi, l'intenzione di porre un freno alle intemperanze giustizialiste e conservatrici della sinistra togata.

Il Mastellum varato lunedì scorso è, in questo scenario, il figlio naturale di un esecutivo la cui unica preoccupazione è quella di non scontentare nessuno, di non mettere a rischio gli equilibri delicati della coalizione, di non decidere e quindi di preservare lo status quo. Pur con tutti i difetti propri di ogni legge, la riforma Castelli tentava di scrostare le ataviche anomalie delle nostre procure, riaffermando il principio costituzionale della terzietà del giudice e limitando l'eccessiva arbitrarietà dei pm nell'esercizio dell'azione penale. Non era forse la migliore riforma possibile, ma era certamente un primo passo che cercava peraltro un compromesso tra le opposte istanze di avvocati e magistrati. La stessa separazione delle funzioni, requirente e giudicante, tendeva a sintetizzare le richieste dell'Unione Camere Penali - favorevole alla separazione delle carriere - e quelle dell'Associazione Nazionale dei Magistrati, aperta all'ipotesi d'incompatibilità territoriale.

Il governo Prodi ha invece scelto ancora una volta di non scegliere, di lasciare tutto com'è, sposando così la grottesca teoria Borrelli per la quale la separazione delle funzioni esisterebbe già nel nostro ordinamento dal momento che i pm non scrivono le sentenze dei giudici. L'Unione ha scelto di evitare il percorso di una vera sinistra riformista, aperta ad una visione liberale della giustizia, che pone le garanzie individuali sullo stesso piano di quelle collettive. Mastella promette di rimettere presto mano alla separazione delle carriere ma Magistratura Democratica, già insoddisfatta per la cancellazione completa della Castelli, è pronta ad alzare le barricate su ogni ulteriore cedimento verso il garantismo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie