In un’ideale anabasi della nascita del Polo delle libertà non può essere trascurata la portata delle elezioni comunali del 1993.
Nella seconda metà degli anni ’80 la crisi dei due maggiori partiti italiani – Dc e Pci – aveva portato alla crescita di quelle forze nuove che promuovevano interessi più vicini alla società reale, prime fra tutte le varie leghe delle regioni settentrionali. La genesi di questi movimenti e il loro slancio iniziale era legato al malessere della popolazione per la distanza ormai sempre maggiore tra stato e società. Umberto Bossi, il senatùr, e la sua compagnia ebbero buon gioco nel contestare alla classe dirigente una politica inefficiente, assecondando in particolare il malumore della piccola e media imprenditoria del nord-est. La Lega ebbe il merito di essere il primo embrione di quello che poi sarebbe diventato il Polo delle libertà inteso come forza di rinnovamento del Paese. Il Msi infatti continuava a mantenersi su un voto essenzialmente ideologico, alternativo sì al sistema ma ancora incapace di catalizzare la voglia di cambiamento degli elettori stanchi della I Repubblica che Tangentopoli farà esplodere.
Il terremoto politico non avvenne nel marzo del ’94, con la discesa in campo di Berlusconi, piuttosto furono le comunali del novembre ’93 a scuotere profondamente il sistema. Allora l’elezione diretta del sindaco fu vissuta dagli italiani come la rinascita della democrazia. I cittadini si sentivano in grado di scegliere autonomamente il primo responsabile dell’amministrazione cittadina senza più la necessità di passare attraverso il filtro dei partiti. I candidati democristiani furono spesso stracciati fuori al primo turno proprio perché non furono in grado di cavalcare l’ondata di rinnovamento in atto. Pur di impedire l’avvento al potere di una classe di politici tutt’altro che “vergine” rispetto al malcostume della mazzetta, la gente finì per votare in massa la Lega e il Msi.
L’ascesa del Msi fu da questo punto di vista la svolta più esemplare del cambiamento politico in atto. La gente dimostrava con quel voto quanto considerasse superate le grandi ideologie del novecento, quanto fosse forte il desiderio di novità, di facce nuove che forse avevano “mani pulite” solo perché fuori dai giochi che contano, ma che più di tutto proponevano programmi di riavvicinamento delle istituzioni alle loro esigenze. L’elezioni comunali diventarono così il volano di un cambiamento epocale nel rapporto politica-cittadino. L’acme si toccò con i dibattiti televisivi in vista del ballottaggio sulle grandi città: Roma e Napoli su tutte. Si dimostrò, in modo spesso anche inconsapevole, come la politica delle città potesse essere motivo di grande dibattito, di vivo interesse proprio perché coinvolgeva in modo più stretto la gente. Il rimescolamento delle carte e l’emergere di due blocchi contrapposti prima che frutto del nuovo sistema elettorale fu dovuto alla naturale contrapposizione di forze con una concezione diversa della politica. La linea di confine tra le due aeree, il berlusconismo, fu comunque tracciata netta e profonda dalla stessa sinistra che attaccò duramente l’appoggio di Berlusconi alla candidatura di Gianfranco Fini nel ballottaggio per il Campidoglio. Gli isterismi della coalizione di sinistra dinanzi alla prospettiva di un’alleanza tra Lega e Msi con una forza liberale nuova a far da collante diedero vigore a un progetto alternativo di governo che rompeva i piani dei post-comunisti e galvanizzava gli italiani.
02 settembre 2005
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