Al di là di qualche timido e interessato - vedi legge Biagi - apprezzamento per il precedente governo, Confindustria si conferma grande elettore di Romano Prodi. Le dichiarazioni del nuovo inquilino di palazzo Chigi, durante l'assemblea degli industriali, sono infatti speculari rispetto alle istanze espresse da Luca Cordero di Montezemolo e si concentrano in particolare su due punti chiave: nuove privatizzazioni e taglio del costo del lavoro. I due temi, intendiamoci, sono cari ad ogni liberale, se non fosse che la loro applicazione, in questo caso, resta tutt'altro che univoca.
Le privatizzazioni di un governo liberale non sono infatti «atti di liberalità» a favore di alcuni, ma operazioni con cui lo Stato punta a favorire la crescita di un settore aprendolo ad una maggiore concorrenza e consentendo al tempo stesso all'erario di incassare quanto più è possibile dalla vendita. Da questo punto di vista chi può sostenere oggi con convinzione la bontà delle operazioni con cui lo Stato si privò del controllo di Telecom o del settore trasporti delle Fs? Le privatizzazioni dunque non sono di per sé una garanzia di efficienza e di apertura dei mercati, anzi se mal gestite possono produrre monopoli o oligopoli tali da far rimpiangere il vecchio sistema statale.
Lo stesso discorso vale per la riduzione degli oneri sul lavoro, il cosiddetto cuneo fiscale. Montezemolo ha chiesto su questo costo addirittura una diminuzione di dieci punti in cinque anni. Prodi ha già lasciato intendere che, viste le risorse a disposizione, il taglio ci sarà ma favorirà solo le aziende disposte ad investire quanto risparmiato in termini di tasse sul versante dell'innovazione. Ma chi e come valuterà questa intenzione e questa capacità? Siamo certi che il sacrificio fiscale dello Stato agevolerà la ripresa? In un'ottica liberale, in realtà, il sistema fiscale dovrebbe essere il più semplice possibile, sì da fugare ogni sospetto di contribuenti privilegiati; eppure da questo nuovo governo stanno piovendo in continuazione promesse di tagli selettivi. Da un lato si continua a promettere un'applicazione rigorosa del prelievo progressivo - chi più ha, più paga - dall'altro si assicurano forme di tassazione agevolata ad alcune imprese per favorirne gli investimenti. A tutti noi comunque si annuncia sempre e comunque la necessità di una manovra correttiva nonostante Bruxelles ne neghi l'utilità e continui a mostrarsi fiduciosa nelle misure varate con l'ultima finanziaria.
Qual è la soluzione di questo rebus? Il governo vuole più soldi ma promette di non prenderne ai ceti deboli e di prenderne anche di meno alla grande industria. Al ceto medio, a quella sparuta maggioranza di «caimani» fuori da questa complexio oppositorum di cui scriveva ieri Raffaele Iannuzzi, sorge spontaneo un legittimo timore.
Da Ragionpolitica del 26 maggio 2006
29 maggio 2006
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